Reti Medievali Rivista, II - 2001 / 1 - gennaio-giugno

Franca Leverotti

Carteggio degli Oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500)

©  Franca Leverotti per "Reti Medievali"


Presentazione

Questa iniziativa è nata da un atto di egoismo ‘milanese’: portare alla luce nuove fonti che consentano di illuminare la storia del ducato di Milano nel Quattrocento.
La documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Milano infatti, già disarticolata alla fine del Settecento, è stata ripartita secondo un sistema articolato per materie, noto come sistema “peroniano”, dal nome dell’archivista che procedette alla classificazione, complicato, a metà Ottocento, da Luigi Osio con la creazione di alcune collezioni: Famiglie, Comuni, Autografi, Sigilli, Bolle e Brevi.., costruite in gran parte con materiale estratto dal Carteggio generale e dal Carteggio diplomatico con le potenze estere. All’inizio di questo secolo Luigi Fumi, con l’idea di ricostruire l’antico archivio visconteo-sforzesco, procedette all’estrapolazione della documentazione più antica fino al 1535, anno che segna la fine della dominazione sforzesca in Lombardia, con la morte , senza eredi, di Francesco II Sforza, sia dai fondi peroniani, che dalla “sezione storico-diplomatica”
[1]. La ricomposizione di questo materiale più antico trovò una strada obbligata nella ricollocazione dei documenti secondo la provenienza delle lettere, in due serie principali, distinte in Carteggio Estero, ripartito per Stati, “che costituisce la più ampia collezione di dispacci diplomatici di Europa di questo tempo” e Carteggio Interno[2].
Questo tipo di ordinamento archivistico ostacola, ovviamente, qualsivoglia indagine di storia istituzionale, dal momento che ottunde le competenze delle singole magistrature, le loro trasformazioni, modifiche dell’organico; infatti , se è possibile individuare all’interno delle serie per città le carte prodotte dalle singole magistrature, è impossibile analizzarle e studiarle, essendo così disperse in centinaia di cartelle. Non è un caso che la non ricca storiografia sforzesca non abbia mai avuto per oggetto le magistrature centrali, bensì alcuni temi specifici, meglio individuabili attraverso i carteggi per località, quali i rapporti centro-periferia visti dalle periferie, storie di comunità, il sistema beneficiale, grazie al carteggio con Roma.
Fu Bortolo Belotti all’inizio di questo secolo, nella ricostruzione della congiura che portò all’assassinio del duca Galeazzo Maria nel 1476, ad utilizzare ampiamente la corrispondenza diplomatica dell’ambasciatore mantovano, sia per descrivere il momento dell’omicidio, sia per individuare alcune radici della congiura”[3]. Più tardi, nel 1978, Riccardo Fubini , attingendo ancora a questa fonte, ha potuto ricostruire la genesi del Consiglio Segreto del Castello”[4], e da allora ad essa ci si è rivolti per studi di diverso genere, riguardanti l’esercito, la corte, l’esautorazione del Consiglio Segreto al tempo di Galeazzo Maria, le complicate vicende della nomina di un vescovo....”[5]
Anche il metodo prosopografico, utilizzato recentemente per ricostruire la storia di alcune magistrature”[6] - in genere la sostituzione di funzionari è spia dell’alterazione di precedenti equilibri e di trasformazioni dell’ufficio - si è rivelato limitato senza l’ausilio del carteggio diplomatico mantovano, grazie al quale invece è possibile appurare se le nuove nomine costituiscano semplici dilatazioni dell’organico, o siano piuttosto sostituzioni, con il conseguente licenziamento dei vecchi officiali.

La ricchezza dei carteggi diplomatici italiani, e in particolare di quelli conservati negli Archivi di Milano, Mantova e Modena, è nota, e ad essi hanno attinto studiosi di valore per ricostruire la storia politica degli Stati, quando difettavano le fonti originarie, basti ricordare Francesco Cognasso per il Piemonte, E. Nunziante per Napoli, ma anche L. von Pastor nella Storia dei Papi, e P.M. Perret che, nella sua pionieristica ricerca, attinge a piene mani alle lettere dei residenti milanesi a Venezia”[7].
Ma la corrispondenza diplomatica mantovana da Milano si distingue sia per la continuità (un ambasciatore residente a Milano è presente almeno dal 1453), sia per una singolare ricchezza di contenuti.
E’ evidente che la continuità documentaria è legata al fatto che il signore di Mantova era stato per quasi mezzo secolo un condottiero al soldo degli Sforza, e ciò richiedeva la presenza di un residente fisso che curasse gli interessi del signore, pronto a sollecitare e a riscuotere le rate della condotta, ma altrettanto vigile e attento nel registrare i mutamenti degli orientamenti politici sforzeschi che avrebbero di necessità coinvolto il Marchese.
Quanto al fatto che questi ambasciatori mantovani si mostrino particolarmente solleciti nel segnalare ogni minimo cambiamento istituzionale, ora raccontando i contrasti tra le fazioni, ora descrivendo le alterazioni degli uffici di corte, ora sottolineando con preoccupazione la crisi finanziaria del ducato sempre più avviluppante, non limitandosi a trattare, come di consueto, della sola politica estera, deriva dal fatto che il marchesato di Mantova era nel sistema politico italiano uno stato satellite del più potente ducato sforzesco”[8]. Questa particolare posizione e questa dipendenza sono più volte riconosciute e chiaramente espresse dallo stesso ambasciatore mantovano, che rassicurava , ad esempio, il 29 aprile 1482, i duchi di Milano dell’impegno del suo signore, desideroso di fare l’interesse di questo Stato (Milano) dal quale etiam depende il suo, e che il l8 giugno 1482, faceva sapere che il Marchese era pronto ad appoggiare quel governo dal quale conosceva dependere lo stabilimento di questo Stato (Milano) e la conservatione del suo (Mantova). Ma era riconosciuta pure dai duchi di Milano, che sollecitavano il Gonzaga a rinunciare temporaneamente alla provvigione, ricordando che quello che comportasse Vostra Signoria per questo Stato lo faceva in benefitio di sè stessa, perochè l’un Stato dependeva da l’altro e che quando questo Stato havesse male lo sentiria anchora il suo, e però era necessario che l’uno aiutasse l’altro (14 giugno 1482).
Dalla stretta dipendenza di Mantova da Milano deriva perciò quella singolare attenzione agli equilibri interni dello stato milanese, che rende questa corrispondenza di estremo interesse anche per la storia politica interna del ducato sforzesco.

L’edizione di questo materiale si inserisce nel solco aperto a metà dell’Ottocento da F. de Gingins de la Sarra che aveva pubblicato molte lettere di ambasciatori milanesi, residenti in Borgogna, in Savoia e a Venezia, per ricostruire gli ultimi anni di vita del duca di Borgogna Carlo il Temerario”[9]. Ma fu solo all’inizio del secolo che B. de Mandrot, dopo aver affrontato lo studio delle relazioni tra Francia e Svizzera dal 1444 al 1483, pubblicò la prima serie completa di carteggi diplomatici, che aveva per oggetto la corrispondenza degli inviati milanesi dalla corte del re di Francia”[10]; la corrispondenza era in parte conservata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi: si trattava del materiale archivistico milanese prestato a Pietro Custodi per i suoi studi, venduto dagli eredi di questi e acquistato dalla Biblioteca di Parigi nel 1867.
Nel 1959 Vincent Ilardi, laureatosi ad Harvard nel 1957, sotto la direzione di M.P. Gilmore, con una tesi su The Italian League and Francesco Sforza. A Study in Diplomacy, 1450-1466, sollecitato in parte da queste precedenti iniziative, decideva di pubblicare, in un’edizione che prevedeva anche la traduzione inglese del carteggio, la corrispondenza milanese dalla Francia e dalla Borgogna dal 1450 al 1483. L’opera, che aveva avuto l’appoggio entusiasta di Federico Chabod, si è purtroppo interrotta dopo il III volume, cioè al giugno 1466”[11], e ha avuto una inutile duplicazione italiana, anch’essa non terminata”[12]. In questi anni di ricerca V. Ilardi, dopo aver proceduto alla ricognizione delle fonti diplomatiche nei più importanti archivi italiani ed europei”[13], ha provveduto alla microfilmatura di un imponente corpus documentario, oggi conservato presso la Sterling Library a Yale, che ha messo, generosamente, a disposizione degli studiosi anche in un sito Internet”[14].
Nei primissimi anni Ottanta l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici con sede a Napoli raccoglieva la proposta di pubblicare la corrispondenza diplomatica veneziana da Napoli dal 1565 al 1797”[15]; a lato di questa iniziativa Gigi Corazzol ha curato l’edizione delle lettere di Zaccaria Barbaro dal 1471 al 1473, il solo materiale rimasto per il Quattrocento”[16]. “Interrogati sino ad ora prevalentemente per ricostruire le fasi e le vicende della storia politico-militare, questi documenti - come scrive M. Berengo nella presentazione al volume del Barbaro - possono renderci ancora un diverso e prezioso servigio. Gli ambasciatori...non hanno solo negoziato affari di Stato; sono stati anche attenti osservatori della società con cui venivano in contatto: delle sue leggi, delle sue tradizioni, delle sue strutture economico-produttive, della sua cultura”.
Contemporaneamente uno storico del medioevo napoletano, Mario Del Treppo, ha promosso la pubblicazione del carteggio diplomatico milanese da Napoli, con lo scopo di sopperire alla grave perdita, subita nella II guerra mondiale, degli archivi angioino e aragonese”[17].
L’edizione mantovana si colloca perciò in un clima di rinnovato interesse per la storia, non solo politico-diplomatica, degli Stati quattrocenteschi.

Ebbene l’edizione di questo corpo documentario, ormai giunta alla fine, mi sembra porti luci nuove non solo sulle vicende politico-istituzionali del ducato milanese, che è l’intento con cui era stata promossa, ma anche sulla storia del costume , attraverso la descrizione dei funerali della madre del duca nella lettera del 22 gennaio 1461, le puntuali notazioni sulla dieta di Francesco Sforza gravemente ammalato nell’autunno del 1461, le frequenti commissioni di acquisto di velluti, tessuti, armi, che per tutto il periodo i Marchesi promuovono a Milano; e si rivela importante soprattutto per stabilire l’ammontare dei proventi delle condotte e ricostruire il flusso di denaro verso Mantova, dal momento che i difficili e sempre dilazionati incassi delle rate costituiscono la lamentela quotidiana delle lettere. Ma offre anche riferimenti alla storia dell’arte, come nella lettera dell’8 marzo 1482, quando l’ambasciatore Zaccaria Saggi riporta le impressioni del Moro alla vista di un dipinto del Mantegna raffigurante il Marchese: parendoli che Vostra Signoria gli fosse viva vedendo esso ritrato et ha commendato al grande e signorille aere che dimostra veramente Vostra Signoria et ha detto Andrea essere il primo homo del mondo in tale arte, come è certamente.
E, ancora, la lettura di queste migliaia di lettere consente di rovesciare alcune consolidate posizioni storiografiche e di liberare la storia degli stati italiani quattrocenteschi da quell’ambito peninsulare in cui la si è voluta relegare in forza di alcune vincolanti letture della pace di Lodi e della Lega italica, nate anche in un particolare clima politico”[18].
Il sistema degli stati regionali italiani è un sistema di stati perfettamente integrato con tutti gli stati europei: Austria, Ungheria, Germania, Inghilterra, la penisola Balcanica, la Grecia, e non solo Aragona, Borgogna e Francia, più note e privilegiate dalla storiografia quest’ultime, e per il particolare legame con il sud d’Italia e per la precoce pubblicazione di fonti. I giochi di predominanza politica in Italia di necessità si sposano con le alleanze estere; lucidamente scriveva Francesco Sforza fin dal ‘52: Considerato che questo stato de Lombardia non po’ stare senza lo apogio del Imperatore o della prefata Maestà della Corona de Franza, havimo deliberato fare fondamento in essa corona de Franza. E queste alleanze non sono fisse, bensì estremamente mutevoli, e comunque sempre di respiro europeo. Il regno di Napoli, ad esempio, si allea con il duca di Modena, ma anche con il re di Ungheria e con i Turchi per isolare Venezia; quest’ultima controbilancerà l’alleanza francese degli Sforza con un saldo patto borgognone e più o meno continui, ma non per questo meno importanti, contatti sabaudi. Le vicende politiche della guerra delle Due Rose, combattuta in Inghilterra, si intrecciano fortemente con la situazione politica del continente e hanno immediate ripercussioni in terra francese, ma l’onda lunga arriva anche nella nostra penisola: la ribellione di Filippo di Bresse nel 1471, quando, spalleggiato dal duca di Borgogna, rivendica la luogotenenza in Savoia, segue immediatamente la vittoria di Edoardo di York, alleato del duca di Borgogna, su Enrico VI, legato in questo momento al re di Francia Luigi XI.
Quello che appare chiaramente da questo carteggio è la debolezza intrinseca delle strutture politiche degli stati italiani ed europei . Ci si dimentica spesso che i ripetuti tentativi francesi nel regno di Napoli trovano un terreno fertile in un ben organizzato “partito angioino” nel Regno; ci si dimentica delle latenti congiure interne fiorentine, presenti fin dall’età di Cosimo, che trovano alimento esterno, come nel più noto caso dei Pazzi, per il quale Fubini ha messo in luce il contorno napoletano-montefeltrino, o dell’asilo che trovano i fuoriusciti fiorentini a Venezia nel 1466-67, a Ferrara nel 1477, o delle ampie protezioni di cui godono nel Regno; e ancora si trascurano i ripetuti interventi sobillatori di Ferrante a Genova, o i complessi legami che l’aristocrazia milanese conserva per almeno mezzo secolo con l’Impero: Si vuole l’imperatore per Signore, per non avere alcun Signore.
Una debolezza, comune anche agli altri stati europei, che per quarant’anni ha fatto da scudo alla penisola. Si cita spesso la politica francofila di Francesco Sforza, dimenticando che Francia per il ducato sforzesco vuol dire fino al ’53 alleanza con Carlo VII, poi però ci si lega al Delfino, e, attraverso il Delfino, si allacciano legami con la Borgogna e la Savoia del Valperga. E i tormentati rapporti tra padre e figlio sono il segnale di una forte e radicata instabilità interna dello stato francese, che viene alla luce proprio quando la spaccatura sembra composta con la morte di Carlo VII; Luigi XI infatti è costretto ad affrontare la guerra del Bene pubblico e a lottare contro i suoi feudatari. Ma anche gli altri stati sono indeboliti da problemi interni, basta ricordare il problema catalano dell’Aragona; le leghe svizzere così divise quanto alla politica estera, tra i cantoni orientali minacciati dagli Asburgo e favorevoli agli Sforza, e quelli occidentali, economicamente legati alla Francia e alla Savoia, pronti a prendere le armi contro il ducato milanese, come nel 1477, sobillati da Ferrante d’Aragona e da Sisto IV. Lo stesso duca d’Austria, Federico III, che è anche imperatore, ora deve tenere a bada gli Stande, ora i conti di Cilli e i signori di Walsee, ora si trova a dover affrontare la questione di Trieste, i cui fuoriusciti trovano asilo a Venezia e in Ungheria, ora è addirittura espropriato di Vienna per l’intervento di Mattia Corvino. Nella stessa corte borgognona, tenuta saldamente in pugno da Carlo il Temerario, sono vivi i contrasti tra la fazione favorevole allo Sforza e quella contraria: politica interna e politica estera costituiscono così un groviglio praticamente indipanabile.
Tornando all’Italia e a quella sua pace di Lodi che secondo l’idea più diffusa avrebbe portato alla Lega italica, voluta a difesa dallo straniero, con il reciproco impegno di mantenere la stabilità dei rispettivi confini politici, ancora recentemente è stato ribadito che tra pace di Lodi e Lega italica non c’è continuità d’intenti; anzi il patto di Lodi era diretto potenzialmente contro il Papa, che appunto per tutelare sé stesso e i propri domini temporali avrebbe voluto quella pace e Lega generale”[19], limitata anacronisticamente “infra terminos italicos”, con lo scopo di consolidare una posizione politica fluida non tanto territorialmente, ma istituzionalmente; non è un caso che si prevedesse l’intervento degli aderenti in caso di offesa da parte di signori o comunità aventi stato in Italia, ma anche in caso di offesa da parte dei rispettivi sudditi. Attraverso la Lega, come ha scritto Fubini, si raggiungeva il riconoscimento e la legittimazione di regimi illegali; ma scopo della Lega era anche garantirne la sopravvivenza politica: ad conservationem et defensionem statuum ipsarum partium, troviamo scritto nel 1455, e, quando si rinnova il patto tra Milano-Firenze e Napoli nel 1467, si precisa che li stati che de presenti se tengano per caduna de le parte si possono tenere et possidere sicuramente et che si debano oprimere li turbatori... Donde l’attenzione a non inficiarla, costringendo il Delfino nel 1460, quando stipula l’alleanza difensiva con Francesco Sforza , a riconoscerla , o giustificando l’accordo di Moncalieri nel 1474 come legittimo, in quanto stretto con una potenza fuori d’Italia. Le alterazioni dei regimi, messi in crisi dalle numerose congiure, sono viste con timore, e di ogni azione politica volta a ristabilire la pace interna si dà ampia giustificazione agli altri stati, come nel caso, ad esempio, del processo a Donato del Conte, la cui confessione viene trasmessa a tutti gli ambasciatori residenti perché la comunichino agli organi di potere e inviata anche agli altri stati italiani confederati perché i tradimenti e le machinatione perpetrate contra di noi et Stato nostro non sono senza grandissimo pericolo de la ruyna de la quiete de tutta Italia.
I dissapori interni trovano alimento, spazi e ancoraggio e presso altri stati italiani e presso altri stati europei. Se con pazienza si identificassero le presenze dei Fregoso, ma anche dei Fieschi, dei Guarco, degli Adorno presso le varie corti europee e nelle capitali italiane si riuscirebbe a ricostruire la mutevole rete politica delle complesse alleanze genovesi. La corte imperiale di Federico III pullula di queste figure, certamente non di spicco, che per trenta-quarant’anni tramano costantemente, più o meno nell’ombra, penso appunto al genovese Prospero da Camogli, al milanese Antonio Mattia da Iseo, al piemontese Antonio Corradi, più noto come l’abate da Lignana. Le trame incessanti di Filippo di Bresse, e dei fratelli, hanno in patria un terreno fertile nella spaccatura del ceto dirigente sabaudo tra piemontesi e savoini, ma trovano non indifferenti appoggi esterni, ora presso il re di Francia, ora presso il duca di Borgogna; la congiura milanese che portò alla morte di Galeazzo Maria aveva ramificazioni in Savoia e in Monferrato, e più lontano in Francia e in Borgogna , come ha intuito Fubini.
Ogni torbido locale diventa lo scacchiere su cui giocare la partita per la predominanza europea”[20]. Il fuoriuscitismo italiano, da non identificare semplicemente con i condottieri militari, è l’esempio più lampante di questa trama politica di estensione europea. Non è un caso che il governo veneziano rispondesse con queste parole a Leonardo Botta, residente milanese, che aveva mostrato la corrispondenza diplomatica pervenuta dalla Francia, in cui si riconosceva come legittima la successione del giovane Giovanni Galeazzo Maria: recevevano summo piacere ad intendere che non solum li potentati Italici sed etiam Ultramontani fussero inclinatissimi et disposti alla conservatione del Stato delle V. Ill. Signorie , perchè quanto più serano le voluntà dellì bene disposti, tanto più firma et indubitata serà la salutte et bene del Stato de quelle.

Questo sistema integrato di stati è mantenuto in vita e tenuto a bada da una capillare rete di informatori ufficiali, gli ambasciatori accreditati, e da una rete di spie, che non sono solo mercanti locali residenti in terra straniera, gli ufficiali milanesi del sale a Genova e a Venezia, o quei fuoriusciti, che raggiungono anche posizioni politiche di prestigio, basta ricordare i napoletani Boffillo del Giudice in Francia e Pietro Candida in Borgogna, il lombardo Antonio Mattia da Iseo, scudiero sabaudo, consigliere e ciambellano in Borgogna, Antonio Valperga, presidente del Consiglio di Chambéry e cancelliere sabaudo, poi consigliere e ciambellano del Delfino e per breve tempo suo cancelliere; i quali, probabilmente, continuano a tramare, o comunque a tenere contatti con la patria d’origine, se il Del Giudice nel 1476 è costretto a discolparsi dall’accusa di aver fomentato la congiura antisforzesca a Genova.
L’instabilità politica degli stati traspare in particolare dalla corrispondenza diplomatica, dove si trovano citati come informatori membri del ceto dirigente che fanno il doppio gioco, nominati nelle lettere con soprannomi di comodo: l’amico, il bonum, l’amicissimo, fidel, sapiens, sono, ad esempio, gli informatori veneziani di Gerardo Colli, membri delle più alte magistrature. Viceversa lo stesso Colli nel 1466-67 scriveva preoccupato a Milano che il Colleoni era al corrente dei litigi tra Bianca Maria e il figlio, noti a un ristretto gruppo di cortigiani.
Né è insolita la presenza di personale forestiero persino in Cancelleria, ora con lo scopo pratico di tradurre i documenti di lingua tedesca (ser Giovanni de Ulesis da Cividale viene utilizzato dallo Sforza anche per ambascerie all’imperatore), ora con lo scopo esplicito, come fa sapere Ludovico di Savoia, quando nel 1453 assume Nicolò Zappello da Sacile, di conoscere mores e calliditates tocius Italiae. Si tratta di personale che, proprio in forza delle precedenti esperienze, riesce a radicarsi in posti anche di prestigio, come Alberto Magalotti, già segretario di Galeazzo Maria, poi di Luigi XI, che diviene uno dei quattro maestri delle entrate del re di Francia, o Antonio da Trezzo, ambasciatore sforzesco a Napoli, poi consigliere del re di Napoli, o Giustiniano Cavitelli ambasciatore sforzesco, poi consigliere del re di Ungheria. Altrettanto ricettiva si mostra la corte di Roma, aperta ad accogliere i frammenti della cancelleria del Simonetta: il Becchetti, l’Elfiteo.
E’ impressionante la circolazione degli uomini e la facilità con cui si raggiungono cariche che non sono solo di facciata. Limitandoci a Milano ricorderemo la nomina di due consiglieri segreti al tempo di Galeazzo Maria, Antonio da Romagnano, il grande rivale di Giacomo da Valperga al cancellierato, già presidente delle udienze generali e del Consiglio supremo di Stato, consigliere e cancelliere del duca di Savoia; e Giovan Filippo Guasconi da Trecate, segretario e consigliere di Luigi XI, presidente della camera del Delfinato, più volte ambasciatore a Milano, sposo di Elena di Nicolò da Correggio, una famiglia non certo amica degli Sforza, che a Milano risiede dal momento della nomina e a milanesi dà in sposa le sue figlie. E’ in questa rete di presenze internazionali, spesso legate da matrimoni, che trova spiegazione l’invio di particolari ambasciatori; la missione in Francia dell’aulico milanese Pietro da Gallarate, dopo la scomparsa del duca Francesco, è legata al fatto che era cognato dell’astigiano Francesco Rottari, baly di Lione, cancelliere e ciambellano di Luigi XI.
A questa circolazione politica di fuoriusciti e non, alla rete stabile delle sedi mercantili in terra straniera, agli intensi scambi culturali (giuristi come il milanese Raimondo Marliani, o il sabaudo Monteregale, chiamati a insegnare in Borgogna, poi nominati consiglieri; o a livello più basso i cantori delle cappelle ducali), portano contributi notevoli anche le alleanze matrimoniali tra i signori dei più importanti Stati europei”[21].
Come acutamente osservava nel 1956 Federico Chabod non è presente nel Quattro-Cinquecento la nostra idea di frontiera e lo “straniero”ha dinanzi a sè larghe possibilità...; la fedeltà personale al re, l’impegno con lui contratto sono quindi sufficienti ad abolire quelle barriere che più tardi, nell’età delle nazioni, degli Stati nazionali, degli orgogli nazionali, diverranno pressocchè invalicabili[22]. Questo non contrasta con l’evidente consapevolezza di una identità italiana, testimoniata ad esempio dal fatto che la stessa Lega era stata limitata entro i confini italici. C’era, invero, la paura che qualche Stato italiano si facesse signore d’Italia; i Milanesi in particolare temevano Venezia: Non hanno altro desyderio, nè appetito nè pensano dì et nocte in altro nommà de usurpare questo Stato, parendoli che, conquistato ch’el fusse per loro , se fariano poy signori in poco tempo de tucta Italia , et deinde con Italia se fariano signori del mondo, come fecero Romani[23]. Di fronte a questo pericolo ci si alleava anche con gli stranieri, ma era sempre ben vivo e presente che è naturale cosa ali Taliani non volere Francesi per signori, como anco i Franzosi non vogliono Italiani. Perciò il re di Francia,come gli rammentava Pietro Pusterla nel 22 marzo ‘62, lo volevano non per signore, ma per padre et benefactore. E Venezia stessa nel dicembre 1477 ricordava i notabili termini et intermedii che la natura ha posti tra la natione Gallica et Italia, ita che Franzesi vivano de là da monti et noi de qua...

Lo scambio delle informazioni diventa essenziale per questi giochi a largo raggio, e le missive dei residenti che affluiscono in cancelleria non si fermano qui, ma vengono debitamente utilizzate, spesso copiate in parte, o integralmente, o addirittura manipolate”[24] e ritrasmesse ai propri ambasciatori distaccati presso altre sedi, perché ne facessero buon uso, informando gli organi di governo presso cui erano accreditati, o mostrandole agli ambasciatori di altri stati lì residenti. Capita così che la lettera del cancelliere milanese Giovanni Antonio Aquilano, residente in Savoia nell’87, riguardante una convocazione dei tre stati, oggi non presente in Archivio a Milano, sia nota perché conservata in copia a Modena, dal momento che era stata affidata all’ambasciatore del duca di Modena residente a Milano, perché la trasmettesse al suo signore”[25].
Il sistema di queste relazioni diplomatiche è certamente più diffuso in Italia e meno consueto Oltralpe; poco gradito al re di Francia che si sentiva spiato: tenere continuamente uno suo ambasatore pare una cosa de suspetto e non de tuto amore, così giustificava nel 1464 con Francesco Sforza. Ma qualche anno dopo sarebbe stato Francesco a non accettare un ambasciatore regio per non ingenerare sospetti da parte del Papa e dei Veneziani; e nel 1471 Galeazzo Maria avrebbe licenziato Zaccaria Saggi per le troppo dettagliate notizie che scriveva al Marchese di Mantova di cui era ambasciatore, perchè scrivea più che homo del mondo... scrivea ogni cosa fin li atti e cenni...
Certamente la presenza di ambasciatori costituisce in questi anni lo specchio delle alleanze politiche; allontanare un ambasciatore allora, come oggi, voleva dire interrompere i rapporti, rompere un’alleanza; circondarsene, facendosi accompagnare addirittura nel viaggio a Firenze, come fece Galeazzo Maria nel 1471, significava palesare la propria potenza, mostrare il numero degli alleati; la sola frequentazione tra ambasciatori di stati diversi significava amicizia, alleanza, e per questo si invita il Colli, residente a Venezia, a farsi vedere sottobraccio all’ambasciatore aragonese con lo scopo di confondere le acque. Niente di strano perciò che un anonimo facesse sapere nel 1475 alla duchessa di Savoia: “Se voi terrete un ambasciatore di Ferdinando re di Aragona il duca di Milano si accorderà col re di Francia e Filippo Monsignore; infatti Galeazzo Maria si è staccato dal re di Francia e ha fatto lega col duca di Borgogna per le pratiche che il re di Francia teneva col re Ferrando e lo ambasciatore che il re Ferrando teneva presso sua Maestà. Antonio Appiani ha ordine, stando presso di voi un ambasciatore del re Ferrando, di venire via”.

Per tutti questi motivi un carteggio diplomatico quattrocentesco non è mai esclusivamente storia di uno stato, ma storia di un sistema di stati; e questo appare con tutta chiarezza anche dall’edizione mantovana: l’occhio attento dell’ambasciatore è volto costantemente su Milano, ma lo scenario è sempre europeo.


Piano dell'opera

I (1450-1459) a cura di Isabella Lazzarini (Roma 1999)
II (1460) a cura di Isabella Lazzarini (Roma 2000)
III (1461) a cura di Isabella Lazzarini (Roma 2000)
IV (1462) a cura di Isabella Lazzarini
V (1463) a cura di Marco Folin
VI (1464-1465) a cura di Maria Nadia Covini
VII (1466-1467) a cura di Maria Nadia Covini (Roma 1999)
VIII (1468-1471) a cura di Maria Nadia Covini (Roma 2000)
IX (1472-1474) a cura di Francesco Somaini
X (1475-1477) a cura di Francesco Somaini
XI (1478-1479) a cura di Marcello Simonetta
XII (1480-1482) a cura di Gianluca Battioni
XIII (1483-1484) a cura di Marzia De Luca
XIV (1485-1494) a cura di Marzia De Luca
XV (1495-1498) a cura di Antonella Grati-Arturo Pacini
XVI (1499-1500) a cura di Marco Folin


Note

[1] E’ per questo motivo che i fondi Comuni e Famiglie contengono oggi solo carte non datate.

[2] Per le complesse vicende di riordinamento si veda A.R. NATALE ( a cura di ), Archivi e archivisti milanesi. Scritti, Milano Cisalpino-Goliardica, 1975, voll.I-II e IDEM, L’Archivio di Stato di Milano. Manuale storico-archivistico, Milano Cisalpino-Goliardica, 1976.

[3] B. BELOTTI, Il dramma di Gerolamo Olgiati, Milano 1929.

[4] R. FUBINI, Osservazioni e documenti sulla crisi del ducato di Milano nel 1477 e sulla riforma del Consiglio Segreto ducale di Bona Sforza, in Essays presented to Myron P. Gilmore, Firenze La Nuova Italia 1978, vol. I, pp.47-103, ora anche, senza appendice documentaria, in R. FUBINI, Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Milano Franco Angeli, 1994, pp.107-135.

[5] F. LEVEROTTI, “Governare a modo e stillo de’ Signori. ”Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1466-76), Firenze Olschki 1994; G. LUBKIN, A Renaissance court. Milan and Galeazzo Maria Sforza, Berkeley- Los Angeles 1994; F. SOMAINI, Giovanni Arcimboldi. Gli esordi ecclesiastici di un prelato sforzesco, Milano Ned 1994; M.N. COVINI, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-80), Roma 1998 (Istituto Storico Italiano per il Medio evo, Nuovi Studi Storici, 34).

[6] F. LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello stato. I “famigli cavalcanti“ di Francesco Sforza (1450-66), Pisa Gisem-Ets 1992 (PBG, 3).

[7]P.M.PERRET, Histoire des relations de la France avec Venise du XIII siècle à l’avènement de Charles VIII, Paris 1896, voll.I e II.

[8] Rimandiamo in particolare a I. LAZZARINI, Tra un principe e altri Stati. Relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma 1996 (Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Nuovi Studi Storici 32).

[9] Interessanti osservazioni su questo volume in A.R. NATALE, Teoria e pratica archivistica nella polemica Sickel-Osio (1858), Milano 1976 (Società Storica Lombarda, Monografie Storiche, 3).

[10] B. de MANDROT-C. SAMARAN, Dépeches des ambassaseurs milanais en France sous Louis XI et Francois Sforza, Paris 1916-23, voll. I-IV.

[11] P.M. KENDALL-V. ILARDI, Dispatches with related documents of Milanese ambassadors in France and Burgundy(1450-60), Athens (Ohio), 1971, vol. l, IDEM, Dispatches...(1461-62), Athens (Ohio), 1972, V. ILARDI, Dispatches...(1466, 11 march.29 June), Dekalb (Illinois), 1981.

[12] Sulla vicenda si veda V. ILARDI, Ancora sulla pubblicazione dei carteggi sforzeschi con la Francia e la Borgogna, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXX (1970), pp. 681-90. I tre volumi italiani, pubblicati dall’Istituto Storico Italiano per l’età Moderna e Contemporanea, riguardano rispettivamente il carteggio dalla Francia (1450-6), a cura di E. Pontieri e quello dalla Borgogna (1453-76), a cura di E. Sestan.

[13] V. ILARDI, I documenti diplomatici del secolo XV negli archivi e biblioteche dell’Europa occidentale (1450-94), in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXVIII (1968), pp.349-403, ora anche in V. ILARDI, Studies in Italian Renissance Diplomatic History, London, Variorum reprints 1986, n. VI.

[14] L’indice di circa due milioni di documenti è pubblicato in V. ILARDI, Index of microfilms on Italian diplomatic history, 1454-94, in the Ilardi collection at the Serling Library, Yale University, in D. ABULAFIA ed., The French descent into Renaissance Italy 1494-95. Antecedents and effcts, London, Variorum 1995, pp.405-83.

[15] Il suggerimento iniziale di Luigi Firpo era stato prontamente raccolto da Marino Berengo e Gaetano Cozzi, cui si sono poi affiancati R. Ajello e R. Villari.

[16] G. CORAZZOL (a cura di), Dispacci di Zaccaria Barbaro, (1 novembre 1471-7 settembre 1473), Roma, Istituto Poligrafico dello Stato,1994.

[17] Il mio scopo non era di ricostruire determinate relazioni diplomatiche tra Napoli e un altro stato italiano, che nel caso avrebbe potuto essere Milano, ma di contribuire, attraverso una documentazione diplomatica ricchissima, quale quella del fondo sforzesco dell’Archivio milanese, alla conoscenza di aspetti scarsamente noti della storia napoletana, e che, per la povertà delle superstiti testimonianze in loco, non avrebbero mai potuto essere meglio conosciuti; e ciò relativamente al periodo aragonese, che della distruzione dell’Archivio aveva sofferto non meno di quello angioino, scrive Del Treppo nella Prefazione ai >Dispacci sforzeschi da Napoli,I, 1442-2 luglio 1458 (a cura di F. Senatore), Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, Carlone editore Salerno,1997, p.VII.

[18] Il riferimento è ovviamente a G. SORANZO, La lega italica (1454-55), Milano, Vita e Pensiero,1924 che faceva espliciti riferimenti e confronti con la Società delle Nazioni, da vedere con IDEM, Studi e discussioni su La Lega Italica del 1454-1455, in Studi Storici in onore di Gioacchino Volpe, Firenze 1958, vol.II, pp.971-995.

[19] FUBINI, Italia Quattrocentesca. Politica e diplomazia, pp.196, 203 e 207 in particolare.

[20] Si veda quanto scrive Ilardi a proposito della guerra nel napoletano: “It appears then that by summer of 1460 the Duke of Milan had succeeded in encircling France with a chain of allies and friends which included Edward IV in England, the dauphin and the Duke of Burgundy in France, his supporter Antonio di Romagnano in Savoy, and John II of Aragon. By the same token, Charles VII could count on the traditional ally of France against England, Scotland; the Lancastrian party in England; and the King of Castile. The Neapolitan war had become a factor in a European struggle for power, a fact that has not been sufficiently realized by historians” (V. ILARDI, Studies in Italian Renaissance Diplomatic History, cit., II, p.163).

[21] Il tema è stato marginalmente affrontato da Klaniczay per la Transilvania del XVI secolo, che ricorda la corte di Cracovia piena di italiani, grazie a Bona Sforza, e il privilegio che la figlia di Bona, Isabella, ottenne nel 1556 di impiegare, in Transilvania, polacchi e italiani in burocrazia (T. KLANICZAY, Gli antagonismi tra Corte e società in Europa centrale: la Corte transilvanica alla fine del XVI secolo, in “Cheiron”, l/2 (1983), pp.31-58).

[22] F. CHABOD, Scritti sul Rinascimento, Torino Einaudi 1967, pp.599-600.

[23] Istruzioni a Pietro da Gallarate inviato in Francia il 1 giugno 1466, in Dispatches with related documents, vol.II, p. 237.

[24] Molti preziosi esempi nel saggio di F. SENATORE, Falsi e <lettere reformate> nella diopolomazia sforzesca, in “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano”, 99/1 (1993), pp.221-278.

[25] La lettera è trascritta in A. TALLONE (a cura di), Parlamento Sabaudo. Patria Cismontana, vol. V, Bologna Zanichelli, 1932, pp.389-390.