Reti Medievali Rivista, III - 2002 / 1 - gennaio-giugno

Interventi

Giovanni Vitolo

Un nuovo rapporto tra Scuola e Università.
La formazione e il reclutamento dei docenti

©  Giovanni Vitolo per "Reti Medievali"


Il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti ha annunciato la convocazione a Roma per il 19 e 20 dicembre degli “Stati generali dell’Istruzione”, in cui sarà discusso il nuovo testo di riforma dei cicli scolastici, elaborato da una commissione presieduta da Giuseppe Bertagna. In quella sede non potrà non parlarsi anche del problema della formazione dei docenti, attualmente gestita attraverso il sistema delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento (SSIS), che dovunque ha registrato difficoltà più o meno gravi di funzionamento, a causa anche delle incertezze del quadro normativo. Sarebbe invece auspicabile che si puntasse con decisione su una diversa struttura organizzativa, più facilmente gestibile, ma nello stesso tempo capace di coniugare unitarietà degli obiettivi formativi e valorizzazione della progettualità dei docenti, lasciando in vita le attuali Scuole soltanto per qualche anno ancora, per consentire di accedere all’insegnamento a coloro che ora stanno per laurearsi. A regime la formazione dei docenti dovrebbe essere gestita invece da università e scuola, ma con una netta distinzione di compiti: all’università la preparazione di carattere disciplinare, alla scuola il compito di gestire il tirocinio degli aspiranti docenti e il tutorato di quelli neoassunti nel periodo del loro straordinariato. In concreto il percorso potrebbe essere questo:
1) laurea triennale per la formazione di base (180 crediti)
2) laurea specialistica per l’insegnamento con 120 crediti: 60 nelle discipline della classe di abilitazione prescelta; 60 in quelle relative alle scienze dell’educazione, compreso il tirocinio da svolgere sotto la guida di docenti della secondaria, reclutati in base a titoli didattici e scientifici nonchè adeguatamente retribuiti;
3) esame finale di abilitazione con elaborazione di una tesi, che dia prova sia della competenza in una delle discipline della classe di abilitazione sia della capacità di tradurla in materia di insegnamento;
4) ritorno all’università per chi, una volta conseguita l’abilitazione, volesse passare ad insegnare altre discipline, per le quali dovrà conseguire i relativi crediti.

Ai laureati del vecchio ordinamento si potrebbe imporre il ritorno all’università solo per il conseguimento dei 60 crediti in scienze dell’educazione e tirocinio, oltre che per quelli eventualmente necessari per colmare lacune di carattere disciplinare in riferimento alla classe di abilitazione prescelta.

Dove conseguire la laurea specialistica per l’insegnamento? Non c’è bisogno né di apposite facoltà né di strutture interfacoltà: chi aspira ad insegnare agraria, matematica, scienze conseguirà la laurea nelle rispettive facoltà, frequentando, attraverso lo strumento della mutuazione, i corsi di scienze dell’educazione nell’unico posto dove ha senso che siano, vale a dire in una facoltà umanistica, che potrebbe nascere dalla fusione di quelle attuali di Lettere e Filosofia e di Scienze della formazione: facoltà che propongo di chiamare, appunto, di “Scienze umanistiche” e che dovrebbe portare al superamento di quella annosa competizione tra pedagogisti e disciplinaristi, che finora è servita solo a complicare le cose, arrecando danni sia alla scuola sia all’università.

Il docente-tutor

Un ulteriore approfondimento merita la figura del docente-tutor, da reclutare sulla base di titoli didattici e scientifici. Per titoli didattici si intende ovviamente in primo luogo l’anzianità di servizio, ma accanto ad essa vanno poste anche la produzione di sussidi didattici, la frequenza di corsi di perfezionamento, l’elaborazione di progetti. I titoli scientifici dovrebbero essere invece costituiti da pubblicazioni relative sia all’ambito psico-didattico-pedagogico sia a quello più strettamente disciplinare. Il docente-tutor andrebbe inserito in un apposito albo, da aggiornare periodicamente, e quindi con la possibilità per un docente più giovane e più impegnato di scavalcare in graduatoria quelli più anziani ed eventualmente diventati meno produttivi: il tutto, in una logica interamente basata sul merito e aliena da ogni forma di automatismo di carriera. L’inserimento in un albo del genere dovrebbe, inoltre, costituire titolo di grande peso per il reclutamento dei docenti universitari nell’ambito delle discipline a forte contenuto didattico, quali, ad esempio, didattica della storia, didattica del latino, didattica della geografia ecc.

Il dottorato di ricerca

Tra i titoli scientifici un adeguato rilievo andrebbe riconosciuto anche al dottorato di ricerca. Attualmente solo pochi di quelli che lo conseguono in discipline umanistiche accedono alla docenza universitaria; ma questo non significa che debbano essere considerate uno spreco le risorse umane e finanziarie investite dalle varie sedi universitarie nella formazione degli altri dottori di ricerca, molti dei quali finiscono con il volgersi all’insegnamento secondario. Essi sono da considerare, infatti, una risorsa per il mondo della scuola, potendo contribuire all’innalzamento del livello professionale del corpo docente, ma a patto che li si utilizzi in maniera adeguata; il che potrebbe avvenire attraverso un percorso differenziato a secondo della laurea specialistica conseguita:
a) per chi viene da quella per l’insegnamento, assunzione nella scuola a partire dall’inizio dell’anno scolastico successivo al conseguimento del titolo;
b) per chi viene da un altro tipo di laurea specialistica, recupero dei crediti mancanti di carattere disciplinare e conseguimento dei 60 previsti per le scienze dell’educazione, con relativo tirocinio ed esame finale di abilitazione.

[Già a stampa in"Il Sole-24 ore", 2 dicembre 2001, p. 14]

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