Reti Medievali Rivista, IV - 2003 / 1 - gennaio-giugno |
Rosaria Giangrande
L'utilizzazione e la valutazione delle risorse
digitali tra i medievisti italiani.
Qualche dato in margine alle esperienze
fiorentine
Testo | Note | Abstract |
© Rosaria Giangrande per "Reti Medievali" |
1. La ricerca
Questo articolo
sintetizza i principali risultati e alcune indicazioni conseguenti a una
ricerca[1], svolta nell’estate del
2001, sui bisogni, l’utilizzazione e la valutazione delle risorse digitali nella
comunità dei medievisti del Dipartimento di Studi storici e geografici
dell’Università degli Studi di Firenze.
L’ambito della ricerca è stato
individuato e definito sulla base di alcune motivazioni.
La prima è
rappresentata dal nuovo scenario delineatosi a partire dagli anni ’90, con la
diffusione di Internet e la conseguente crescita dell’offerta delle risorse
digitali per gli studi storici, che ha portato ad una serie di riflessioni e
interrogativi sulle trasformazioni dei contenuti, delle pratiche e dei
linguaggi della ricerca tra gli storici[2].
Vi sono poi due indagini - ormai datate e in qualche
modo limitate, anche se significative per alcune indicazioni - svolte in Italia
nel tentativo di valutare gli atteggiamenti e le reazioni degli storici
accademici di fronte alle nuove tecnologie della comunicazione. Si tratta
dell’inchiesta condotta nel 1996 da Derosas[3] tramite un questionario diffuso tra i dipartimenti e gli
istituti di storia delle università italiane, riferito all’impatto
dell’informatica sulla ricerca e la didattica, e dell’indagine di Abbattista[4] relativa alle reti telematiche,
condotta nel 1998 con un questionario inviato per via telematica a circa 500
storici delle facoltà e dei dipartimenti di storia.
A queste va aggiunta la
recentissima presenza di “Reti Medievali: Iniziative on line per gli studi
medievistici” (RM)[5], un progetto
avviato nel 1998 (e online dal 2000) da un gruppo di studiosi
appartenenti alle Università di Firenze, Napoli, Palermo, Trento e Venezia, che
si propone “come una realizzazione ad alto contenuto scientifico e
informativo”[6] e tende a
“promuovere la diffusione delle nuove forme di comunicazione tra i medievisti”[7].
Il Dipartimento fiorentino, in
quanto interessato a questo progetto, si presenta dunque come oggetto di studio
ideale per condurre un’indagine sui temi sopra delineati.
Obiettivi della
presente ricerca:
· esaminare il livello di conoscenza, consapevolezza e
utilizzazione delle risorse digitali disponibili per la ricerca e la
didattica nella comunità dei medievisti del Dipartimento
· individuare
i bisogni e gli atteggiamenti nei confronti delle risorse
digitali
· investigare sulla qualità delle risorse digitali destinate
alla ricerca e alla didattica
· individuare gli ostacoli all’accesso e
alla creazione delle risorse digitali
· fornire informazioni per
accrescere lo sfruttamento delle risorse digitali
Il lavoro è stato
impostato utilizzando metodi diversi:
· Un’analisi approfondita
della letteratura professionale mira a esaminare come la
diffusione di Internet stia trasformando la natura della ricerca e della
didattica e l’offerta delle risorse digitali per gli studi medievali. La
letteratura di riferimento, a stampa e online, pubblicata principalmente
nei cinque anni precedenti, si concentra sul dibattito sviluppatosi nel contesto
italiano, con attenzione anche agli Stati Uniti, al Regno Unito e a qualche
altro paese europeo.
· Una rassegna del workshop.
Nel giugno 2001 si tiene presso l’Università di Firenze Medium-evo.
Gli studi medievali e il mutamento digitale[8], il primo workshop nazionale di studi medievali e
cultura digitale. Questo incontro, promosso dal Coordinamento delle iniziative
online per la medievistica italiana, offre un’occasione di riflessione
collettiva sulle trasformazioni indotte dal mutamento digitale e telematico nei
linguaggi e nei metodi delle discipline medievistiche. Successivamente i
dottorandi in Storia medievale[9] si
riuniscono per riflettere e confrontarsi sulle problematiche emerse durante il
workshop. Queste discussioni, come pure le relazioni presentate al
workshop, costituiscono un contesto e un background importante per
questa ricerca.
· Interviste semi-strutturate sono state
condotte su un campione scelto nella comunità dei medievisti del Dipartimento
fiorentino. Questa forma di approccio metodologico e gli argomenti trattati
nelle domande forniscono un’ampia opportunità per esplorare il livello di
consapevolezza, i bisogni, le modalità di utilizzazione, gli atteggiamenti, e
gli ostacoli all’accesso delle risorse
digitali.
· Un’intervista non strutturata
con il direttore responsabile di “Reti Medievali”. L’intervista indaga sulla
progettazione, la struttura e il funzionamento di RM per capire come questa
iniziativa possa rispondere ai bisogni, alle aspettative e ai problemi inerenti
la creazione di un sito web.
· Un’analisi di cinque siti
web in studi medievali tesa a valutare la loro qualità e a determinare
in che misura questi rispondano ai bisogni della comunità accademica. Questo
tipo di analisi rappresenta una forma innovativa di approccio metodologico,
paragonabile alla forma tradizionale dell’analisi documentaria, dove i documenti
analizzati sono siti web, privi perciò delle consuete caratteristiche
documentarie.
I dati emersi da queste fonti sono stati successivamente
raccolti, analizzati e confrontati.
Questo lavoro si concentra in
particolare sui risultati delle interviste semi-strutturate che hanno fornito il
corpus dei dati, seguiti da alcune indicazioni costruite sulla base dei
risultati stessi.
2. Le interviste
Per le interviste
è stato selezionato un campione rappresentativo di 14 soggetti fra circa 74
componenti della comunità accademica di Storia medievale così suddiviso: 4
professori (57 % del loro numero), 1 ricercatore (33%), 2 assegnisti di ricerca
(100%), 4 dottori di ricerca (33%), e 3 laureandi (6 % circa).
Gli studenti
degli anni precedenti, che naturalmente rappresentano di gran lunga la
percentuale più rilevante della comunità di Storia medievale, non sono stati
intervistati. La decisione di limitare in tal modo il raggio dell’indagine è
basata sulla supposizione che le risorse digitali in Storia medievale siano
utilizzate prevalentemente da studiosi che si occupano di questa disciplina da
lungo tempo.
Tra i soggetti intervistati sono stati inclusi anche due
professori di Storia moderna, entrambi direttori scientifici della rivista
elettronica “Cromohs”,[10] in
virtù della loro vasta conoscenza ed esperienza in merito agli argomenti
affrontati in questa ricerca.
Il numero contenuto dei soggetti intervistati è
dovuto alla natura stessa dello strumento metodologico - l’intervista - che
comporta un lungo dispendio di tempo in tutte le sue fasi operative[11]. La scelta dei soggetti del campione
tende a rappresentare i diversi livelli di conoscenza, interesse e competenza
nei confronti delle risorse digitali al fine di raccogliere una varietà di
prospettive e di caratteristiche pertinenti al tema della ricerca.[12]
Andrea Zorzi[13] è stato il key informant (informatore chiave).
Questa figura è stata fondamentale per tutti gli aspetti e le fasi
della ricerca, in primo luogo per la sua ampia conoscenza sia delle risorse
digitali in esame che della comunità accademica in questione, oltre che per
l’utile contributo fornito nell’identificazione, discussione e conferma degli
argomenti dell’indagine, e dei soggetti del campione.
L’analisi della
letteratura professionale ha rilevato la totale assenza di interviste intese
come metodo di ricerca. Gli unici esempi pubblicati per ricerche di questo
genere hanno utilizzato questionari. In particolare sono state oggetto di
attenzione l’indagine britannica del 1997, condotta dal Performing Arts Data
Service (PADS) dell’AHDS[14], tra
i dipartimenti universitari di discipline delle arti dello spettacolo del Regno
Unito, riportata da Owen[15], e quella condotta nel 1998 dall’American
Association for History and Computing (AAHC) tra i professori di
storia di college e università statunitensi e canadesi,
riferita da Trinkle[16]. Queste
due indagini e i loro risultati sono stati utili per elaborare e organizzare le
domande dell’intervista, mentre gli argomenti di discussione sono stati
individuati grazie all’analisi della letteratura professionale[17], alla rassegna del workshop
e alla consultazione con il key informant.
Il modello finale di questo
strumento d’indagine[18] risulta
costituito da 26 domande formulate secondo una sequenza tematica, alcune
chiuse, dove in aggiunta a un semplice sì o no di risposta viene chiesto
agli intervistati di dare spiegazioni più estese, e altre aperte per dar
modo di rispondere secondo il diverso livello di comprensione dell’argomento in
questione. Le interviste sono state registrate con l’accordo degli intervistati.
Ciascuna intervista è durata dai 45 ai 75 minuti.
3. I risultati quantitativi
Le risposte alle
prime 16 domande dell’intervista forniscono un quadro del contesto in
analisi. Si cerca di indagare sul livello di sofisticazione acquisito dagli
intervistati nell’uso di Internet per la ricerca e/o la didattica, di
evidenziare il loro grado di conoscenza e di consapevolezza in merito alla
varietà delle risorse disponibili in rete, e di mostrare il livello di
sperimentazione raggiunto nei corsi tenuti dal Dipartimento.
Le risposte
(domande 1-4) indicano un livello di conoscenza e un interesse sorprendentemente
alti nei confronti di Internet: il 93% dispone di accesso a Internet
da casa, e il 64% lo usa regolarmente. I siti web consultati più
frequentemente risultano essere i cataloghi di biblioteca (100%), seguiti dalle
riviste storiche online (54%), dalle banche dati (46%) e dalle
bibliografie (46%). La preferenza e il riconoscimento dell’importanza dei
cataloghi di biblioteca conferma i risultati riportati da Abbattista[19] per l’Italia, da Trinkle[20] per gli Stati Uniti e il Canada, e da
Owen[21] per il Regno Unito.
Le
domande 5-7 indagano sull’abilità degli intervistati nell’uso dei metodi di
ricerca, nella navigazione in Internet e nella comunicazione online. I
motori di ricerca costituiscono il metodo maggiormente usato (83%),
immediatamente seguito da pagine link (75%). Google viene
solitamente menzionato come il miglior motore generale; in ogni caso, le fonti a
stampa vengono elencate come aiuto comunemente in uso per il reperimento delle
risorse in Internet (50%).
Le domande 8-13 riguardano l’offerta di corsi
sull’uso di risorse digitali e chiedono se esistono siti web
creati e utilizzati come parte integrante dell’attività del corso, sia dagli
insegnanti che dagli studenti.
I dottorandi (100%) dichiarano che
da quest’anno [2001] viene loro offerto il training sull’uso di Internet
e del web per le loro ricerche, con specifiche istruzioni sulle modalità
di reperimento e di valutazione delle risorse digitali. In ogni caso le risorse
online non vengono usate come metodo di insegnamento. La rassegna sulla
letteratura già evidenzia il Dipartimento fiorentino come esempio avanzato nel
contesto italiano di attività e iniziative online[22]. Così questi risultati per Firenze
confermano che in Italia l’insegnamento online è in una posizione
di arretratezza rispetto ai dipartimenti americani dove, come riporta Trinkle[23], la sperimentazione con la
tecnologia nelle classi di storia è un tema centrale e una percentuale molto
alta dei docenti (80%) la usa nell’insegnamento.
Le risposte
alla domanda 12 hanno dato luogo a una discussione sul “Polo Informatico
Medievistico” (PIM)[24], il
sito web del Dipartimento creato per studenti e docenti di discipline
medievistiche. Proprio nei giorni in cui si svolgono le interviste, “Il Sole 24
Ore”[25] riconosce nel PIM uno dei
pochi siti umanistici degni di essere menzionati e senza paragoni in Italia[26].
Alcuni docenti hanno
sviluppato questa iniziativa online all’inizio del 1998, offrendo ai
colleghi la possibilità di includervi informazioni. Così anche i professori più
anziani che non utilizzano le risorse digitali dichiarano di fornire i programmi
e/o gli orari dei loro corsi per farli pubblicare sul PIM. Benché il livello di
partecipazione sia vario, la particolarità del PIM sta nello stretto
rapporto tra l’attività didattica e quella di ricerca: “PIM è qualcosa di
completamente diverso da una semplice guida didattica online come quella gestita
dalla segreteria amministrativa del Dipartimento, perché sviluppa anche progetti
di ricerca collegati, sillabi, corsi, dispense etc.”[27]
Nelle domande 14-16 il
desiderio degli intervistati di accrescere la loro conoscenza e la loro abilità
nell’uso delle risorse online segnala che il 25% vorrebbe creare pagine
web, e il 71% mostra interesse a ottenere ulteriori informazioni per
creare risorse online. La maggioranza degli intervistati risulta
interessata principalmente a informazioni tecniche a livello di base (70%) e al
problema del copyright (70%).
La sensibilità riscontrata per la
questione del copyright e della tutela del diritto d’autore conferma la
generale preoccupazione per la mancata definizione di un chiaro quadro di
riferimento normativo per la pubblicazione elettronica, già segnalata tra i temi
del dibattito sviluppatosi nella letteratura professionale[28].
4. I risultati qualitativi
Le rimanenti
domande dell’intervista (17-26) intendono fornire indicazioni qualitative circa
conoscenza e consapevolezza, bisogni e problemi, atteggiamenti, valutazioni e
opinioni degli intervistati nei confronti delle risorse digitali.
Tale
approccio mira a mettere in evidenza o a individuare le principali aree di
discussione in merito alle risorse online disponibili. I risultati
(domande 17-19) mostrano che una delle prime preoccupazioni è la constatazione
della scarsa e dilettantistica qualità delle risorse digitali. Gli intervistati
lamentano inoltre un’eccessiva eterogeneità di queste risorse, la mancanza di
validi strumenti di selezione, immagini superflue, bassa qualità del contenuto,
carenza del contesto latino/mediterraneo, assenza di forum accademici di
discussione, e presenza di siti web universitari poco chiari e
dispersivi, mal organizzati e strutturati: “entri nei meandri e non sai più
come uscirne. Sembrano labirinti”.
Esprimendo le loro opinioni su come
dovrebbe essere un buon sito storico (domanda 18), gli intervistati rilevano
l’importanza prioritaria dell’integrazione di una risorsa web con gli
altri strumenti dell’attività di studio: “un sito storico deve integrarsi e
non essere sostitutivo, non deve essere succedaneo [dei documenti
tradizionali]”. Le risposte indicano inoltre il valore della ricchezza dei
contenuti, dell’aggiornamento del sito, e della presenza di una vasta gamma di
fonti “testuali, documentarie, ma anche fonti di carattere cartografico,
iconografico etc.”
Un sito storico dovrebbe soddisfare le esigenze della
ricerca e della comunicazione dei risultati della stessa. “La
raffinatezza degli elementi strutturali del sito, la grafica, la navigazione,
sono aspetti che contano ma quello che conta di più, che fa dire che quel sito è
di qualità, è che in quel sito io trovo il contributo più recente di uno
studioso che è riconosciuto dalla comunità accademica come importante”.
I docenti concordano sulla necessità di criteri qualitativi per la
valutazione delle risorse digitali (domanda 19) ma non tutti hanno una chiara
idea di quali possano essere. Tutti gli intervistati sono unanimi nel
riconoscere l’importanza dell’autorevolezza delle risorse e della valutazione
della qualità della ricerca. Il più delle volte fanno riferimento agli strumenti
tradizionali della ricerca storica che sono serviti alla costruzione del
documento e che definiscono la verificabilità della qualità scientifica:
citazioni di fonti, riferimenti bibliografici, bibliografie etc. “Un sito mi
deve dire da quale fonte ha tratto l’informazione e in che misura è originale
perché sia scientificamente attendibile e affidabile”.
La perdita di
tempo nelle ricerche online fa rilevare soprattutto ai dottorandi e agli
assegnisti di ricerca anche l’importanza della facilità d’uso.
Le domande 20
e 21 sono focalizzate su “Reti Medievali”, che la maggior parte degli
intervistati riconosce come un’iniziativa eccellente. I laureandi in particolare
rilevano l’importanza di RM per le loro ricerche bibliografiche e per
l’aggiornamento.
Gli intervistati sottolineano l’originalità di RM in
particolare per lo sviluppo di alcuni aspetti come, ad esempio, la saggistica
online. La costruzione delle sezioni viene percepita come organica e ben
pensata: “risponde al primo requisito di un sito, cioè aver dietro un
progetto ben costruito”.
Viene inoltre notata la capacità di RM di
presentarsi come un nuovo modello di fare didattica e ricerca: “RM presenta
una struttura che prefigura una sorta di università telematica: un contenitore
di iniziative diverse, un luogo di scambio di esperienze e un modello di
pubblicazioni alternative rispetto alle forme consuete di
comunicazione”.
Dall’altro lato, non mancano preoccupazioni e
critiche. Il sito appare piuttosto complesso, presenta una certa pesantezza
strutturale, una “non immediatezza” nell’accesso ai contenuti, una
disomogeneità nel completamento delle sezioni, e rischia di diventare di
difficile utilizzo.
Alcuni intervistati ritengono RM un progetto molto
vario, con ottimi risultati dal punto di vista dei contenuti e della
navigabilità: “una cura nei contenuti che forse non ha pari”. I suoi
limiti sembrano essere piuttosto dovuti a problemi tecnici: il passaggio a
software più potenti consentirebbe un aggiornamento e una gestione del
sito molto più veloci, ma risulta ostacolato da una struttura già consolidata,
ripartita su piattaforme tecnologiche diverse.
La sezione finale
dell’intervista (domande 22-26) è la parte più discorsiva e, per certi aspetti,
la più polemica. Da questa emergono punti di discussione intorno al
Dipartimento, alla sua politica e alle sue scelte strategiche, come pure
argomenti inerenti il mutamento digitale.
La maggior parte degli intervistati
(domande 22-24) ha una grande considerazione per le iniziative del Dipartimento:
“E’ difficile trovare persino in America o in Francia, un
dipartimento che abbia questa struttura informatica e così
tempestivamente abbia portato avanti esperienze”.
Il Dipartimento dal
punto di vista istituzionale sostiene la ricerca e un’attività di didattica
avanzata che include un corso di perfezionamento[29] e uno per dottorandi. Si stanno poi sviluppando
strategicamente una serie di attività aperte verso l’esterno
(workshop, seminari, giornate di studio) che permettono di entrare in
relazione in Italia e all’estero con persone competenti in strutture digitali.
Non mancano in ogni caso commenti sull’assenza di una politica da parte della
dirigenza del Dipartimento: “ci sono solo iniziative private scollegate tra
loro, ma non c’è un lievito propositivo da parte della
direzione”.
Inevitabilmente gli intervistati lamentano anche problemi
pratici: le consuete carenze di spazi, di finanziamenti e di attrezzature,
oltre alla presenza di una burocrazia che non facilita l’accesso ai
computer e l’utilizzazione di Internet. Per la maggior parte dei docenti
(domanda 25) i finanziamenti e il tempo sembrano essere gli ostacoli per la
creazione di iniziative e progetti di ricerca digitali. Questi sono gli stessi
problemi rilevati nei risultati riportati da Andersen e Trinkle[30] per i dipartimenti di storia
statunitensi.
Da questa discussione sono emersi i temi importanti della
proprietà intellettuale e del copyright, oltre a quello dell’aspetto
culturale, ivi inclusa la questione del digital divide (divario
digitale).
L’analisi della letteratura professionale ha già rilevato
quanto il problema della proprietà intellettuale e del copyright della
pubblicazione elettronica sia sentito, in Italia come all’estero.[31]
Tre professori esprimono il loro
dissenso circa la pubblicazione online: “il web non è ancora lo
strumento più adatto per lavori scientifici, che sono invece le riviste
[cartacee]specialistiche”.
Del resto un professore sottolinea
come nell’università permanga tuttora scetticismo nei confronti della
telematica. Problemi non ancora risolti come la garanzia di stabilità, di
paternità e di autorità del documento elettronico spingono ancora a privilegiare
le forme tradizionali e consuete. “Il saggio elettronico con la struttura dei
link, la perdita della paternità dell’autore che fa pensare a una paternità
condivisa, la perdita del controllo dall’inizio alla fine del lavoro, per alcuni
è affascinante, per altri docenti della generazione più anziana è
perturbante”.
Entusiasmo viene espresso per un progetto locale,
considerato un passo in avanti che può contribuire a forzare la lentezza
della normativa e a far superare lo scetticismo e le perplessità diffuse nelle
università italiane. Si tratta del recente accordo tra l’Università di Firenze e
la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF) per il deposito legale
volontario delle pubblicazioni elettroniche edite dalla Firenze University Press
(FUP).[32]
Molti degli
atteggiamenti nei confronti della cultura dell’innovazione risultano
quelli che ci si poteva attendere. Gli intervistati parlano di mancanza di
convinzione da parte dell’università, mancanza di consapevolezza tra i colleghi,
del prevalere della tradizione, di un senso di attesa e di una posizione di
indifferenza, pur priva di un atteggiamento di chiusura o di diffidenza.
Un’importante considerazione riguarda la tradizione del potere accademico.
Il sistema di valutazione scientifica e concorsuale si fonda sulla cultura del
libro (articoli, monografie etc.) e specialmente tra i docenti più anziani ci
sono delle oggettive difficoltà culturali di accesso e di valutazione nei
confronti delle pubblicazioni digitali. “E’ evidente che dare troppo spazio a
queste significa inquinare il sistema culturale di valutazione scientifica e
quindi il potere accademico. Discorso brutale ma oggettivo”. Questa
situazione è in linea con i risultati dell’indagine di Andersen e Trinkle,
che rilevano “a strong culture of watch-and-wait, of testing the waters and
recommending that individuals not immerse themselves fully in electronic
publication for fear of being turned down for tenure and promotion”[33]. La vera barriera è la piena accettazione
di questa nuova realtà: “ci vorrà del tempo perché tutti accettino
l’importanza di Internet. Non tutti i miei colleghi sono favorevoli o
convinti che l’impegno richiesto per conoscere e accedere a Internet sia un
impegno che paga. Diciamo che è un problema di accettazione
culturale”.
La maggioranza degli intervistati individua all’interno
dell’ostacolo culturale un certo digital divide, come emerge nei
risultati di Andersen e Trinkle per i dipartimenti di storia statunitensi dove
“department chairs speak of technophiles who see traditional history
teachers as dinosaurs and ineffective teachers”[34]. Tuttavia questo fenomeno (tecnofili versus
dinosauri) non viene percepito come molto evidente nel Dipartimento
fiorentino. La maggior parte degli intervistati riconosce che non c’è diffidenza
tra i docenti più anziani, e persino coloro che rivelano una forma di
scetticismo dimostrano un grande rispetto.
“C’è rispetto. I docenti più
anziani hanno capito che il futuro è anche questo e quindi non oppongono
resistenza. Non vedo scetticismo, loro semplicemente non vogliono essere
coinvolti”
“Il digital divide esiste però ci sono i docenti più anziani che
non si avvicinano al web, ma capiscono che è uno strumento
fondamentale”.
La natura aperta
delle domande 24-26 inevitabilmente ha portato alla luce una vasta gamma di
problemi. Uno di questi è la collaborazione con le biblioteche, sia per
l’acquisizione di risorse digitali per supportare la ricerca che per il
training degli utenti. Un professore prefigura una collaborazione che
vada oltre la selezione e l’acquisizione delle risorse digitali, ritenendo le
biblioteche i partner ideali nei progetti di ricerca: “le biblioteche, sede
di grande patrimonio culturale, hanno i documenti e devono comunicarli,
quindi esse stesse possono essere responsabili di progetti di ricerca […]
le iniziative per costruire questi percorsi, in primo luogo devono venire
dall’ambito dell’accademia e dalle biblioteche”.
Un altro
argomento di riflessione è il futuro cambiamento nella didattica e nella ricerca
storica. La maggior parte dei docenti riconosce che gli aspetti destinati a
svilupparsi sembrano essere l’accesso alla documentazione (biblioteche tutte
dotate di cataloghi elettronici integrati) e l’accesso al documento (d’archivio
o di biblioteca). “L’accesso diretto alle fonti sarebbe un’esplosione di
possibilità per la ricerca, uno strumento inimmaginabile di ricerca
per noi, ma anche soprattutto didattico. Allora a lezione si farebbe ricerca con
gli studenti!”
Qualche intervistato esprime la preoccupazione che la
pubblicazione online delle fonti possa allontanare lo storico dagli
archivi e dai metodi tradizionali di ricerca - punto già emerso nella rassegna
del workshop. In Italia c’è una forte tradizione di ricerca sulle fonti
archivistiche, e la reazione di un professore è comprensibile: “mettere le
fonti storiche sul computer elimina un passaggio che è difficile da spiegare: il
passaggio dall’archivio che secondo me è un passaggio decisivo: il contatto con
la carta, vedere fisicamente il documento. Ho la sensazione che non sia un
guadagno di tempo, ma una dispersione”.
L’impatto del cambiamento è
visto anche nello stile comunicativo: l’uso del web e della posta
elettronica porta a cambiamenti nella struttura, nell’argomentazione e
nell’articolazione del discorso: “il fatto che l’editore richieda dischetti
induce a manipolare il documento in modo diverso. Pensare che la pubblicazione
non avverrà su carta ma sul web stimola a scrivere per il web”.
5. Conclusioni
L’alta percentuale
degli intervistati che utilizzano Internet (93%) suggerisce che questo
mezzo ha una grande rilevanza nella comunità dei medievisti del Dipartimento
fiorentino. Un consenso generale riconosce l’importanza delle risorse digitali
in tutte le loro tipologie, dimostrando consapevolezza delle loro
potenzialità.
In ogni caso le interviste indicano una certa resistenza
nell’utilizzo di queste risorse, particolarmente da parte dei professori più
anziani, confermando il ruolo problematico di Internet nei confronti dei metodi
tradizionali. Gli intervistati rivelano un impressionante livello di conoscenza
circa la varietà delle risorse disponibili e la natura di quelle che
considerano utili. Questo differisce dai risultati dell’indagine del 1998 di
Abbattista[35] che delinea un
quadro assai modesto di conoscenza, di interesse e di utilizzazione delle
risorse nell’ambito della ricerca storiografica italiana.
I siti più utili
vengono identificati nei cataloghi di biblioteca, nelle riviste storiche
online, e nelle banche dati, indicando che le risorse digitali sono
ancora considerate essenzialmente come un metodo conveniente per localizzare
altre risorse.
Le interviste dimostrano un forte interesse per un miglior
livello di informazione e di istruzione nelle tecniche per un uso creativo della
rete, e per l’acquisizione di capacità di valutazione per tutti gli studenti che
si preparano a fare ricerca. Gli intervistati considerano favorevolmente
l’introduzione nei curricula storici di insegnamenti che trattino
specificamente di metodi creativi di utilizzazione di risorse web.
Il
riconoscimento della natura disomogenea, inconsistente e dilettantistica di gran
parte delle risorse attualmente disponibili nella rete, indica un bisogno di
siti più ricchi in qualità scientifica del contenuto e continuamente aggiornati.
L’autorevolezza e i tradizionali criteri metodologici della ricerca storica
vengono riconosciuti come i più seri criteri di valutazione che dovrebbero
essere applicati anche alle pubblicazioni online. Il problema della
qualità è stato un tema ricorrente in questa ricerca.
RM è conosciuto da
tutti, utilizzato dalla maggior parte degli intervistati, e apprezzato come un
progetto che innalza il livello standard delle attuali iniziative online.
La sua originalità e la sua struttura vengono riconosciute come frutto di un
buon progetto, primo requisito di un sito web. In ogni caso non mancano
critiche per una certa dispersione nella ricerca delle informazioni,
un’architettura un po’ troppo complessa e il fatto che certe sezioni sono ancora
vuote.
Mentre la rassegna della letteratura indica che nei dipartimenti di
storia statunitensi le iniziative online per la didattica sono
quantitativamente superiori a quelle per la ricerca, le interviste descrivono
una quasi totale assenza di risorse simili per la didattica nel contesto
italiano. Inoltre le risposte indicano che il Dipartimento di Firenze è in una
posizione avanzata rispetto alla media. Nonostante ciò il PIM e RM sono frutto
di iniziative personali e fondamentalmente non cambiano lo scenario delineato da
Abbattista nel 1998[36].
Gli intervistati percepiscono che, particolarmente tra i professori più
anziani, non c’è ancora la convinzione dell’importanza di investire in questo
genere di iniziative, e indicano nell’ostacolo culturale la principale causa di
resistenza. L’età dunque sembra essere un elemento significativo fra le ragioni
di questo atteggiamento.
I risultati della rassegna del
workshop e delle interviste rilevano la presenza di un digital divide
all’interno della comunità accademica italiana, tuttavia gli intervistati
fiorentini sono stati unanimi nel notare che non c’è polemica, non c’è guerra al
mutamento, e, persino nelle forme di scetticismo, viene dimostrato un gran
rispetto.
6. Qualche indicazione
I risultati di questa ricerca sono basati sulle esperienze di un determinato gruppo di soggetti all’interno di una particolare istituzione. Con un campione selezionato di 16 interviste occorre cautela nel generalizzare sia in merito ai dipartimenti universitari di storia in Italia che allo stesso Dipartimento di Firenze. Tuttavia è auspicabile che le domande proposte ai medievisti del Dipartimento fiorentino e l’esame delle loro risposte contribuiscano a dare una visione d’insieme degli argomenti che sembrano essere presenti all’attenzione dei medievisti italiani, visione forse in grado di stimolare alcune considerazioni sulle direzioni da intraprendere per ulteriori ricerche.
Concludendo va segnalato che in primo luogo emerge dalle interviste una carenza di comunicazione tra la biblioteca e il corpo docente del Dipartimento, così come la scontentezza di alcuni docenti per la politica degli acquisti di risorse digitali condotta dalla biblioteca. Per questa ragione c’è bisogno di una collaborazione più stretta tra il Dipartimento e la biblioteca per cooperare soprattutto nelle acquisizioni delle risorse digitali e per operare come partner in futuri progetti di ricerca.
Le informazioni
raccolte nel corso della ricerca hanno suggerito alcune indicazioni da tenere in
considerazione nel progettare un sito web storico:
· occorre una
politica, una responsabilità e una progettazione chiara e
forte
· supporto tecnologico e software adeguati devono garantire
una gestione veloce e semplice del sito
· la responsabilità per la
manutenzione permanente del sito deve essere chiaramente assegnata e
definita
· occorre collaborazione e comprensione reciproca tra storici e
webmasters
· deve essere assicurato l’aggiornamento
frequente del sito
· è essenziale la pubblicazione di una
politica editoriale e di guidelines per le norme editoriali
· il
contenuto del sito web e la selezione del materiale devono essere
trattati con gli stessi criteri di qualsiasi altra pubblicazione scientifica, e
devono essere coerenti con una formale politica editoriale
· devono
essere affrontate le questioni della proprietà intellettuale e del
copyright
Infine, alcuni
percorsi di ricerca possono essere enucleati da questo studio:
· Un
questionario diffuso nei dipartimenti italiani di storia, sugli atteggiamenti e
sulle reazioni individuali nei confronti delle risorse digitali come utile
aggiornamento dell’indagine del 1998 di Abbattista
· Un’indagine
quantitativa e qualitativa dei siti web di Storia medievale nei
dipartimenti italiani, concentrata non solo sulla valutazione dei materiali
web e della loro presentazione, ma anche sull’utilizzazione delle pagine
web come strumenti strategici per attrarre gli studenti e i docenti, e
per fornire fonti informative essenziali per la ricerca e la
didattica
· Una valutazione di autorevoli siti web di Storia
medievale e la produzione di una guida pratica per la creazione di siti
web, che affronti questioni politiche, tecniche e di
contenuto.
[1] Il lavoro di ricerca è stato condotto nel corso del 2001 nell’ambito delle attività per il conseguimento del Master of Arts in Information Studies presso la University of Northumbria a Newcastle. Il rapporto finale della ricerca ha assunto la forma di tesi: R. Giangrande, Online Resources in Medieval History at the University of Florence: A Critical Study of Use, Needs and Value. Tesi del Master in Information Studies, University of Northumbria at Newcastle, 2002 [ciclostile].
[2] Lo scenario è ben delineato da R. Minuti, Internet e il mestiere dello storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione, “Cromohs”, 6, 2001, 1-75, <http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html> [9 aprile 2003: tutti i controlli degli URL citati di seguito sono stati effettuati in tale data]. Questo lavoro presentato in versione italiana è stato originariamente elaborato per l’edizione francese e in seguito pubblicato a stampa: Id. Internet et le métier d’historien. Réflexions sur les incertitudes d’une mutation, Paris, Presses Universitaires de France, 2002.
[3] R. Derosas, Storia, informatica e università in Italia, in Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, a cura di S. Soldani e L. Tomassini, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p. 150-181.
[4] G. Abbattista, Ricerca storica e telematica in Italia. Un bilancio provvisorio, “Cromohs”, 4, 1999, 1-31, <http://www.cromohs.unifi.it/4_99/abba.html>. L’esiguità dei dati raccolti (meno del 10% delle risposte) ha reso il valore statistico del questionario troppo basso per essere considerato scientificamente valido e l’indagine si è conclusa con una serie di osservazioni.
[5] “Reti Medievali. Iniziative on line per gli studi medievistici”, 1999, <http://www.storia.unifi.it/_RM> .
[6] Ibid.
[7] A. Zorzi, Millennio digitale. I medievisti e l’Internet alle soglie del 2000, “Memoria e ricerca”, n. 5, gennaio-giugno 2000, p. 206-207 (testo ora disponibile anche in Id., Medioevo preso in rete. Una guida selezionata alle risorse telematiche per lo studio e per la ricerca, 1998, <http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/millennio.htm>).
[8] Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, Firenze, 21-22 giugno 2001, <http://www.dssg.unifi.it/_PIM/Medium-Evo <!--[if !supportNestedAnchors]--> >.
[9] La discussione tra undici dottorandi in Storia medievale si tiene presso il Dipartimento fiorentino il 4 luglio 2001.
[10] “Cromohs. Cyber Review of Modern Historiography”, 1996, <http://www.cromohs.unifi.it/>. “Cromohs” è la “prima rivista interamente elettronica dedicata alla storia della storiografia moderna, e tra le prime riviste storiche interamente elettroniche apparse sul Web”, ibid., <http://www.cromohs.unifi.it/ita/intro.html>.
[11] N. Moore, How to Do Research: The Complete Guide to Designing and Managing Research Projects. 3. ed. London, Library Association Publishing, 2000, p. 121-130.
[12] G.E. Gorman, and P. Clayton, Qualitative Research for the Information Professional : A Practical Handbook. London, Library Association Publishing, 1997, p. 127.
[13] Andrea Zorzi, nel periodo in cui viene condotta questa ricerca, è ricercatore di Storia medievale presso l’Università degli Studi di Firenze, responsabile scientifico del Settore informatico del Dipartimento di Studi storici e geografici, coordinatore editoriale del “Polo Informatico Medievistico” del Dipartimento, e direttore responsabile di “Reti Medievali. Iniziative on line per gli studi medievistici”.
[14] Arts and Humanities Data Service.
[15] C. Owen, Performing Arts Data Service Questionnaire Results Report. Stage One : University and HE Departments, PADS-AHDS, 1997, <http://www.pads.ahds.ac.uk/padsSurveyDocumentsCollection <!--[if !supportNestedAnchors]--> > [Link soppresso nel febbraio 2003][5 settembre 2001].
[16] D.A. Trinkle, History and the Computer Revolutions. A Survey of Current Practices, “Journal of the Association of History and Computing”, vol. 2, n. 1, April 1999, <http://mcel.pacificu.edu/JAHC/JAHCII1/ARTICLESII1/Trinkle/Trinkleindex.html>.
[17] Tra le indagini esaminate nella letteratura professionale è stata oggetto di attenzione anche quella condotta nel 2000 dall’AAHC nei dipartimenti di storia di college e università statunitensi, riportata in: D.L. Andersen and D.A. Trinkle, “One or Two is not a Problem” or Technology in the Tenure, Promotion, and Review Process. A Survey of Current Practices in U.S. History Departments, “Journal of the Association of History and Computing”, vol. 4, n. 1, April 2001, <http://mcel.pacificu.edu/JAHC/JAHCIV1/ARTICLES/Anderson-Trinkle/Anderson-Trinkle.html <!--[if !supportNestedAnchors]--> > .
[18] Vedi il Testo dell’intervista.
[19] G. Abbattista, cit.
[20] D.A. Trinkle, cit.
[21] C. Owen, cit.
[22] G. Abbattista, cit.
[23] D.A. Trinkle, cit.
[24] “Polo Informatico Medievistico”, 1998, <http://www.storia.unifi.it/_PIM/ <!--[if !supportNestedAnchors]--> >.
[25] Segnalato nella Guida alla Nuova Università, “Il Sole 24 Ore”, n. 180, 2 luglio 2001.
[26] Il sito web del PIM viene definito “un prototipo di impiego ad alto livello del mezzo telematico per le finalità della ricerca e dell’insegnamento” G. Abbattista, cit.
[27] Le citazioni in corsivo nel corpo del testo si riferiscono a frasi significative raccolte dagli intervistati.
[28] Vedi in particolare R. Minuti, Internet e il mestiere dello storico, cit.; e Id., Le incognite della “pubblicazione” on-line, “Reti Medievali”, cit., RM Rivista-Forum, 2000, <../forum/Minuti.htm>.
[29] Si tratta del corso di perfezionamento in Storia e informatica. Nuove tecnologie per la ricerca, la didattica e la comunicazione, <http://www.storia.unifi.it/_cdp/si/>.
[30] D.L. Andersen and D.A. Trinkle, cit.
[31] Vedi la nota 28.
[32] <http://www.unifi.it/e-press/accordo.htm>.
[33] D.L. Andersen and D.A. Trinkle, cit.
[34] Ibid.
[35] G. Abbattista, cit.
[36] Ibid.
This project investigated the use of digital
resources by the community of medievalists of the Department of History at the
University of Florence, as well as its needs in this regard, and its attitudes
and evaluation of these resources.
The area of this research was defined,
firstly, by two Italian investigations - both of them limited and now outdated -
of the attitudes and reactions of academic historians to the new technology,
and, secondly, by the recent development of an online initiative called "Reti
Medievali" which promotes online communication among medievalists.
Interviews with a sample of the medieval history students and teachers
provided most of the data. This article concentrates on the revelations of the
interviews and draws some conclusions from these results.
A key finding is
that the community of users recognises the importance of digital resources and
their potential, and has an interest in improving its creative use of the web.
Some resistance, particularly among older professors, is evidence of the
problematic role of the Internet in relation to traditional methods. There is
concern for authority, scientific quality, and the copyright problem. The main
cause of resistance to online resources is shown to be the cultural
factor.