call for papers • V/2021

Per SigMa • V/2021 è aperta la CFP per la presentazione di contributi per la sezione monografica su

Evento storico, trauma collettivo e spazialità nella letteratura e nelle arti contemporanee

In tempi più e meno recenti, le fondamenta teoriche dello Spatial Turn hanno influenzato la riflessione sullo spazio e sui codici di rappresentazione dei luoghi. Da prospettive e metodi compositi, le scienze umane hanno tessuto un dibattito articolato che ha ridiscusso le configurazioni dello spazio nelle differenti arti e ha, al contempo, problematizzato il rapporto tra luoghi e uomini, tra territorio e azione umana, tra geografia e storia. Non più sfondo mobile o immobile della narrazione, i luoghi sono interrogati quali testimoni fecondi di archeologie di sapere e geologie culturali, quali preziosi negativi fotografici di memorie individuali e collettive.

Se gli spazi intrattengono un rapporto privilegiato con la memoria e i ricordi del mondo uscito dai campi di concentramento sono segnati dal trauma, gli studi di Patrizia Violi e Matteo Giancotti sono tornati a indagare i luoghi partendo proprio dalla relazione complessa con la memoria e col trauma. In Paesaggi della memoria (2014), Violi mette in luce, attraverso i ferri del mestiere della semiologia, le implicazioni politiche e culturali del discorso memorialistico elaborato dai cosiddetti “siti del trauma”, mostrando come la narrazione delle tracce e delle testimonianze del passato traumatico possa rendere leggibili e interpretare nel tempo i valori simbolici iscritti in determinati luoghi. In Paesaggi del trauma (2017), partendo dalla lezione di Simmel, Giancotti analizza le implicazioni retoriche e narratologiche di un paesaggio traumatizzato come quello raffigurato dalle narrazioni sui campi di battaglia della Grande Guerra e sui territori della Resistenza.

Entrambi i saggi scandagliano e mettono in discussione alcuni dei presupposti teorici più fecondi dei Trauma Studies che, dalle ricerche pionieristiche di Cathy Caruth e della “scuola di Yale”, hanno incrociato ipotesi letterarie e analisi psicoanalitiche. Se il lascito del campo di studi che maggiormente ha indagato il trauma nell’ultimo trentennio è quello di considerare un disturbo psichico come chiave di lettura della contemporaneità partendo dal «trauma per antonomasia, l’Olocausto», Violi e Giancotti mostrano che la riflessione sul trauma include livelli interpretativi complessi ed eterogenei che non sono sempre legati alle fenomenologie psichiche o che almeno non lo sono esclusivamente. Le memorie collettive del trauma, i valori differenti che queste veicolano nel tempo, le coordinate sociali e culturali dei discorsi pubblici sul trauma, ci raccontano, ad esempio, idee di mondo che vanno al di là della riconfigurazione di un equilibrio sconvolto e ossessivamente ricordato, ripetuto o rielaborato; ci dicono in che modo le società pensano al trauma e in che forma o attraverso quali dispositivi culturali lo raccontano.

Da questa prospettiva, i luoghi assumono una valenza significativa non solo in quanto testimoni “naturali” o in quanto filtro affidabile di rappresentazione del trauma attraverso la sua spazializzazione ma soprattutto in quanto Paesaggi contaminati, per dirla con Pollack, il cui scavo consente sì di riesumare oblii e ferite rimosse ma di farlo anzitutto partendo dalle retoriche e dalle narrazioni contaminanti, ovvero dalle cause, dagli eventi e dalle storie che portano una forchetta appartenuta alle SS ad emergere dopo anni dal terreno di un orto. È uno scavo che permette di saggiare in modo proficuo molte delle topiche legate alla fenomenologia e alla rappresentazione del trauma. Gli spazi del trauma portano traccia, ad esempio, dell’après-coup drammatico dell’evento, ovvero della distanza tra l’evento e la sua elaborazione, consentendo di ricostruire gli strati di questa elaborazione nel tempo; ibridano le dinamiche di rappresentazione e ri-presentazione del trauma – essendone, al contempo, teatro in fieri, luogo della sua rappresentazione e della sua ri-presentazione –; in quanto testimoni “inconsapevoli”, problematizzano la funzione dei testimoni primari e secondari e, allo stesso modo, quella riservata ai lettori o agli spettatori; costruiscono quadri memoriali (Halbwachs) che fondono traumi individuali e collettivi.

 

Quali sono i generi, le forme e i topoi dei luoghi del trauma? Quali le modalità discorsive, quali le strutture narrative, quali i codici di rappresentazione della realtà che ci permettono di entrare negli spazi che raccontano e interpretano gli eventi traumatici? In che modo i luoghi simbolo di traumi collettivi condizionano a loro volta le forme e gli statuti della letteratura, del cinema o del teatro? Quali corrispondenze è possibile tracciare, ad esempio, tra il mutamento della visione di un’intera generazione di poeti e narratori delle altitudini straziate dalla Grande guerra (Cortellessa) e la reticente storia naturale della distruzione delle città bombardate durante il secondo conflitto mondiale (Sebald)? In che modo la nuova dimensione della fiction postmoderna ha alterato i caratteri della testimonianza di luoghi e traumi del mondo contemporaneo, dal Vietnam ai Balcani, dalle Twin Towers al Bataclan, da Chernobyl a Fukushima? E ancora, in che modo il cinema ha modulato la sua capacità mimetica nel rappresentare i luoghi del trauma? In che modo differente lo hanno fatto, ad esempio, le sue estetiche realiste, nell’ibridazione con i generi documentari prima e nel confronto con il modello dominante dei media poi?

Cos’hanno in comune, quindi, gli altipiani della Grande Guerra di Soffici, Lussu, Barbusse e Tolkien e le città devastate dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra civile spagnola di Malaparte e Semprún? O le Torri Gemelle di Safran Foer e De Lillo e la Atocha di Mateo Díez e Menéndez Salmón? O, ancora, la Hiroshima di Resnais e il Vietnam di Coppola, Kubrick e Cimino? E, infine, il Vanuatu di Herzog e la Chernobyl di Mazin e Renck?

Il cortocircuito tra avvenimenti distanti nel tempo e tra generi compositi non può che consegnarci un arazzo disomogeneo e frammentario, che ha un duplice obiettivo: da un lato interrogare le forme attraverso cui si raccontano i luoghi del trauma e le pratiche culturali che ne codificano l’elaborazione e la rappresentazione; dall’altro tornare a riflettere sul rapporto tra evento e senso per comprendere se le televisioni di guerra e le credenze mediatiche abbiano fatto davvero del mondo post 9/11 un’epoca senza trauma.

 

Invitiamo coloro che volessero contribuire alla Sezione a inviare le loro proposte (max. 5000 caratteri) entro il 15 ottobre 2020 all’indirizzo sigma@sigismondomalatesta.it