Il Made in Italy cinese di San Giuseppe Vesuviano
Abstract
Il saggio prende in esame l’attività imprenditoriale dei cinesi, cui contribuiscono anche le donne. In particolar modo viene analizzata la gestione di attività laboratoriale e di vendita nel settore dell’abbigliamento a San Giuseppe Vesuviano. In questa zona i cinesi non rivendicano spazi propri, né hanno creato una sorta di Chinatown, ma sono stati capaci di penetrare in maniera silenziosa all’interno dell’economia locale: entrando a San Giuseppe si ha la sensazione di essere trovarsi in un paese la cui attività precipua è l’attività commerciale all’ingrosso e al dettaglio nei settori dell’abbigliamento, della biancheria e dei tessuti. L’unica differenza che può percepire l’osservatore esterno è data dal fatto che i negozi all’ingrosso, che hanno conservato la loro struttura originaria, oggi sono gestiti dai cinesi. Il primo segnale esterno che consente di cogliere il cambiamento è dato dalle lanterne che sono esposte dinanzi ad ogni ingresso. La zona dei negozi, quindi, non ha assunto le caratteristiche che possano connotarla come quartiere etnico, ma ha conservato la fisionomia precedente all’arrivo dei cinesi. Essi seguono un percorso imprenditoriale ben preciso: dapprima lavorano come dipendenti presso altri cinesi, in un secondo momento, quando hanno accumulato un po’ di danaro aprono un laboratorio sartoriale; solo dopo alcuni anni investono gli utili nell’apertura di attività commerciali all’ingrosso di abbigliamento e biancheria. Nel settore dell’abbigliamento hanno dato vita ad un mercato con produzione di articoli di fattura non molto ricercata e dai prezzi concorrenziali rispetto ai prodotti italiani. Ciò è possibile perché essi intendono il lavoro autonomo completamente sganciato da regole e da norme: all’attività lavorativa molto spesso partecipano anche le mogli e i figli, che non sono inquadrati legalmente.
Oggi i cinesi di San Giuseppe sono consapevoli della loro forza economica e si difendono meglio degli italiani della crisi acuita dalla pandemia. Riescono a vendere e a conservare il loro spazio senza aver dovuto modificare eccessivamente la loro offerta. Ma se l’emergenza virale ci ha insegnato che i processi simbiotici anomali devono essere corretti, spostando il discorso dal virus agli uomini, si dovrebbe lavorare per riequilibrare i rapporti all’interno di una società che è ancor più precaria del passato e a rischio di continui disequilibri e di frizioni etniche.
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