La violenza del mondo ne ‘La frontiera’ di Alessandro Leogrande
Abstract
La motivazione etica che sta alla base della scrittura di Alessandro Leogrande (1977-2017) è caratterizzata dall’esplicita volontà di non arrendersi all'impossibilità di “ridurre il male” ma di provare a raccontarlo in tutta la sua tragica “banalità” (in linea con le riflessioni di Arendt e Sontag). Nell'ultimo capitolo del volume La frontiera (2015), intitolato La violenza del mondo, lo scrittore e giornalista d’inchiesta mette in relazione i suoi reportage narrativi sui naufragi di migranti che si susseguono nel Mediterraneo con un noto quadro di Caravaggio: si tratta del Martirio di San Matteo (1600-01), che si trova nella Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Leogrande individua una precisa corrispondenza tra lo sguardo di Caravaggio, il cui autoritratto compare sullo sfondo della scena mentre assiste al martirio del santo, e quello di quei cittadini europei che, pur non essendo indifferenti al dramma umanitario a cui assistono, restano comunque “impotenti” spettatori. Provare a narrare l’esodo di migranti lungo la frontiera liquida e controversa del Mediterraneo significa non limitarsi a descrivere la stratificazione delle immagini della tragedia ormai inoffensive nell'immaginario occidentale, ma offrire una intensa contro-narrazione finalizzata a ribaltare le dichiarazioni ufficiali dei governi e – sulla scia dell’opera caravaggesca – il regime scopico dominante. Infatti, di recente la rielaborazione transmediale dello sguardo tagliente del pittore lombardo si sta consolidando come una tendenza internazionale – come ha rilevato Francesco Zucconi nel bel libro Displacing Caravaggio (2018) – per raccontare i drammi della contemporaneità attraverso prospettive non convenzionali.
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