Impossibile chiusura: il romanzo moltiplicato
Abstract
“Nella relazione fondamentale con se stessi”, scrive Robert Musil in una pagina famosa dell’Uomo senza qualità, “quasi tutti gli uomini sono dei narratori. A loro piace la serie ordinata dei fatti perché somiglia a una necessità, e grazie all’impressione che la vita abbia un ‘corso’ si sentono in qualche modo protetti in mezzo al caos”. Ci sono però fasi della storia culturale in cui gli esseri umani sembrano perdere il filo del racconto, e con esso ogni possibilità di ricondurre il caos del reale a un sensato ‘ordine narrativo’. La grande letteratura del Novecento ha dato corpo a questa inquietudine: ne ha fatto spesso un’ossessione, in un tentativo caparbio – destinato inevitabilmente allo scacco – di tradurre in forma narrativa quella “coscienza della complessità” di cui parla Carlo Emilio Gadda, cioè la percezione di una realtà sempre più stratificata, molteplice e inesauribile. Paradossi teorici, invenzioni strutturali e opzioni stilistiche hanno portato quindi vari scrittori a ‘moltiplicare’ il romanzo, per riprodurre, nel perimetro chiuso sella pagina scritta, la molteplicità brulicante e inafferrabile del mondo reale (o delle sue infinite controfigure fittizie). Strutture talvolta caotiche, accumulative, stratificate, talaltra improntate a raffinatissime geometrie strutturali che sono destinate tuttavia a rimanere fatalmente aperte, a celare punti difettosi, pezzi mancanti, vuoti metafisici al centro del sistema. Se la realtà non chiude, anche il romanzo è condannato a una ‘impossibile chiusura’.
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