“La historia de cómo ha ido muriendo un hombre”. Tanatografie e autofinzioni nella Spagna del ’900
Abstract
Il paradossale fondamento del racconto di vita, tessuto tra due poli ineffabili come la nascita e la morte del narratore-protagonista, impone una modulazione costante di operazioni metonimiche atte a rappresentare in modo attendibile (veritiero, verosimile o referenziale che sia) le esperienze del vissuto tra le pagine del narrato.
È nelle caratteristiche e nelle differenti soluzioni di questa modulazione che l’autobiografia discute costantemente la rappresentazione di armonie e distonie tra inizio e fine, fornendo un campo di ricerca privilegiato per sondare l’evoluzione di teleologie codificate, di morti annunciate e di presagiti desideri di estinzione totale. Campo di ricerca che assume caratteri inediti nel Novecento quando reagenti di differente natura modificano in modo sensibile lo statuto del genere, confermando lo stretto rapporto con i codici di rappresentazione della realtà e con gli immaginari del romanzo che negli stessi anni mettono in discussione proprio la possibilità di narrare le vite delle “persone come noi”. L’articolo riflette sulla strutturale tensione narrativa del racconto di vita verso la non narrabile morte e di mettere in luce l’evoluzione di questa tensione nel Novecento, quando sembra disperdere irreversibilmente le teleologie del canone autobiografico ottocentesco, offrendo soluzioni letterarie eterogenee che mostrano meccanismi di serialità inediti.
I testi autobiografici di Rafael Alberti, Ramón Gómez de la Serna e Javier Marías presi in considerazione offrono una campionatura rilevante di meccanismi narrativi e nuclei tematici che rimandano a un senso della fine annunciato e sistematicamente fugato.
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