La città, il corpo e l’immagine. Fantasie di distruzione nel cinema apocalittico degli anni Cinquanta e Sessanta
Abstract
Questo articolo si concentra sulle fantasie apocalittiche, connesse al rischio di un disastro atomico, che attraversano il cinema americano (e più generalmente anglofono) degli anni Cinquanta e Sessanta. La discussione adopera come strumento interpretativo le diverse declinazioni della categoria del corpo, come intreccio tra materialità e dimensione metaforica.
Dapprima, si investiga il modo in cui la rappresentazione dello spazio urbano proposta dal cinema del dopoguerra tradisca una serie di ansie connesse al conflitto mondiale appena trascorso, all’emergere della Guerra Fredda e in generale alla paura nucleare. Una lettura cartografica del cinema americano dell’epoca (il noir e la fantascienza in particolare) coinvolge in modo precipuo anche una riflessione sulla corporeità dell’individuo e della collettività, poiché la retorica organicistica si rivela un ambito discorsivo particolarmente rilevante nel contesto dell’umanesimo postbellico.
Il cortocircuito tra presente, passato e futuro proposto dall’immaginario catastrofico conduce, d’altronde, ad una messa in discussione del corpo stesso del testo filmico. Il cinema di questi anni è dotato perciò di una dimensione esplicitamente metacinematografica, che sembra problematizzare la possibilità stessa di portare avanti la rappresentazione. Lungi dall’implicare soltanto il livello tematico, insomma, le fantasie apocalittiche investono in pieno anche il piano estetico-stilistico, fino a toccare in maniera inequivocabile la dimensione della materialità dell’immagine.
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