Memorie al Muro. Scrivere la scissione da Grass a Sebald
Abstract
A trent’anni dal momento che per la Germania e per l’opinione pubblica mondiale si è meritato l’etichetta di ‘fine’ per una serie di processi di scissione e di conflitto (della divisione Est-Ovest, della Guerra Fredda – per tacere della fine della Storia, addirittura), potremmo pensare di esser giunti alla giusta distanza per organizzare, sistemare quel complicato affastellarsi di immagini psichiche ed emotive che hanno a che fare con quella che è stata a tutti gli effetti – politicamente, psicologicamente – una scissione. E di chiamare in causa anche i documenti letterari che, nelle maniere più varie, l’hanno rappresentata. Se però cerchiamo di recuperare, almeno in alcuni narratori-simbolo di questa terra divisa, qualche elemento che possa aiutare la storicizzazione, la ricostruzione – la sistematizzazione di un percorso –, ricaviamo impressioni meno rassicuranti in vista di un sistema che non sia solo un aggregato. Perché la letteratura della scissione, intrecciata com’è nella memoria, affronta il particolare e non riesce a staccarsene.
Nella pretesa di tracciare linee di senso laddove prevale una certa angoscia, un indeterminato che non si fa cogliere, questo articolo di affrontare uno dei problemi che si affacciano oggi a parlare del Muro, ovvero a ‘ricordare’ il Muro. Cercherò quindi, innanzitutto, di cercare in una coppia d’autori che hanno scritto di memoria del conflitto all’inizio e al termine dell’esperienza di divisione – Günter Grass e W. G. (Max) Sebald – delle spie di un rapporto di chi scrive in tedesco con l’esperienza della scissione. Cui va aggiunta Christa Wolf, che veniva da quell’oriente che il Muro lo costruì.