L’amore è una malattia?
A confronto I ricordi del capitano d’Arce di Giovanni Verga e Donna Paola di Matilde Serao. Ovvero, tra scrittrici e scrittori dell’Ottocento italiano, lo stretto percorso delle donne innamorate
Abstract
Inculcato come unico obiettivo della vita di una donna, per tutto l’Ottocento, l’amore romantico è in realtà ingabbiato per le donne in confini molto stretti: dev’essere unico, giovane, fedele, casto, finalizzato al matrimonio, normalizzato dalla famiglia. Eppure, neanche i vincoli e le paure diffuse dalla religione, le legislazioni punitive nei confronti delle donne e, più tardi, le teorie delle pseudo-scienze positiviste sulla fisiologia femminile, sono riusciti a contenere una realtà molto più variegata, libera e complessa. In questo quadro scrittori e scrittrici italiane (in gran parte dimenticate) si sono spesso trovati su fronti opposti. Da una parte, gli scrittori, quasi sempre orientati a “punire” le donne che manifestano sentimenti troppo intensi, fisici ed extra-matrimoniali, come Giovanni Verga ne I ricordi del capitano d’Arce, sia pure senza che nessuno di loro sappia creare un personaggio della forza di Anna Karenina. Dall’altra parte, le scrittrici, che spesso mettono a nudo l’ipocrisia del matrimonio di convenienza (come nell’omonimo racconto di Luisa Saredo) e la trappola che costituisce anche per i sentimenti degli uomini (Donna Paola, di Matilde Serao).
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