Alle origini della plebs Sanctae Agathae. Iscrizioni perdute e ritrovate per la storia di Santhià nell’alto Medioevo
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Abstract
All’esterno dell’abside della chiesa parrocchiale di S. Agata a Santhià (VC) sono murati due frammenti di marmo bianco: il primo reca incisa la parte terminale di un’iscrizione dedicatoria a un martire da parte di un ecclesiastico di nome Vvalpertus (o Alpertus); il secondo, parte di un pilastrino o di un architrave di recinzione presbiteriale, mostra un decoro a galloni intrecciati fra loro. L’iscrizione è stata incisa nel campo centrale di un pluteo bordato da una cornice a girali scolpiti, di cui rimane la parte corrispondente alla fascia inferiore: la grafia delle lettere e lo stile dei decori permettono una datazione al secolo VIII, mentre il frammento di pilastrino potrebbe risalire a un periodo compreso fra il secolo VIII e la prima metà del IX. Sono di particolare interesse l’onomastica longobarda del dedicante e la, nella parte finale del testo superstite, la “firma” dello sculptor, alla prima persona singolare, presente in un’altra iscrizioni longobarda di area piemontese, ornata anch’essa di apparati decorativi scolpiti. L’esame di questi due manufatti, finora inediti, ha offerto l’occasione per riesaminare due altre iscrizioni già esistenti nella chiesa di S. Agata, da tempo perdute e di incerta autenticità: il quadro che emerge permette varie considerazioni sulla storia di questo centro nei secoli anteriori al Mille, sulla presenza del clero nella campagne della diocesi di Vercelli, e sull’opera dei maestri lapicidi e incisori attivi fra VIII e IX secolo nell’area compresa fra Lombardia, Piemonte, Liguria e Provenza, riuniti in passato sotto il nome unificante di “bottega della Alpi Marittime”.
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