“Vocabatur vulgo Ingenitus”. Il parto cesareo nel Medioevo
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Abstract
Il parto cesareo su donna viva, per salvare entrambi i soggetti del parto, la donna e il bambino, venne preconizzato in ambito medico alla fine del XVI secolo, nel breve trattato in lingua francese del medico e chirurgo François Rousset. Fino ad allora era stata unicamente discussa e praticata l'apertura del ventre della madre morta per la salvezza del bambino, con ricadute sul piano giuridico e religioso. Dopo l'opera di Rousset, in testi medici e religiosi, per convincere della possibilità di successo del “cesareo” su donna morta, tornarono in auge racconti medievali su bambini sopravvissuti all'intervento. Si trattava in realtà di bambini non comuni, santi o re, e, nel Medioevo, la loro sopravvivenza era recepita alla stregua di un evento miracoloso, mentre nello stesso periodo vennero redatti diversi tipi di racconti di miracoli riferiti al “cesareo”, che comprendevano anche l'apertura del ventre della madre viva. L'articolo si propone di analizzare tali racconti nel contesto culturale di redazione, tenuto conto delle coeve conoscenze medico-ostetriche, così come delle dissertazioni (in ambito religioso e giuridico) e delle leggende dedicate al tema dell'apertura del ventre della donna gravida.
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