Osservare guardare e ascoltare Napoli. Considerazioni in margine al dialettico rapporto tra la città ed il suo porto

  • Mario Coletta Centro Interdipartimentale di Ricerca L.U.P.T.
Parole chiave: Napoli, porto, percezione

Abstract

Appresi a conoscere la Napoli, il suo mare ed i suo paesaggio dalla più classica delle sue cartoline: la folta chioma di un imponente pino marittimo in primo piano, la ordinata scacchiera dei suoi edifici ottocenteschi organizzanti la seconda quinta, il profilo dell’edificato storico più antico che rotolando dalla collina di San Martino – Sant’Elmo scivolava armonicamente verso il mare sino a spegnersi nell’isolotto di Megaride – Castel dell’Ovo costituendo la terza quinta, seguito a distanza dalla non più fumante emergenza vulcanica del Vesuvio.
L’altra faccia di Napoli, quella che si manifestava oltre il porto storico, non forniva una bella immagine di sé, afflitta come era dalle vistose impronte della devastazione bellica e dal degrado ambientale che trovava il suo baricentro nelle aree orientali che era divenuta sede privilegiata delle baraccopoli, insediamenti precari eretti sulle macerie dei bombardamenti all’insegna di quello spontaneismo insediativo che avrebbe aperto, nei decenni a seguire, il sentiero del cosiddetto “abusivismo di necessità”.
Non era e non è costume ritrarre “il brutto”, “il degradato” ed “il sofferto” della città di Napoli; occorreva ritrarre solo quella parte di essa che facesse “bella mostra di sé”. La Napoli teatrale, recitata, cantata e rappresentata, conferisce al suo porto un ulteriore significato: quello di priori, di partenze più che di arrivi, un luogo di attese, di speranze, di propositi, di prospettive, di ansie, di stimoli, di progetti e di promesse che il tempo provvederà a concentrare nell’universo delle memorie.

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Pubblicato
2014-07-31