L’insegnamento universitario in carcere alla prova dell’emergenza sanitaria
Abstract
Questa ricerca si propone di analizzare il diritto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti attraverso lo strumento della formazione universitaria. Non è un caso che l'istruzione generale sia stata messa al primo posto nel sistema penitenziario prima della religione e del lavoro, per sottolineare il suo ruolo cruciale nello sviluppo del senso critico e di riflessione del detenuto. Infatti, se si parte dall'assioma che i detenuti devono scontare la loro pena all'interno di una struttura carceraria e che la privazione della libertà comporta una permanenza più o meno prolungata, è indispensabile garantire loro condizioni di vita carceraria dignitose e, soprattutto, che questo periodo sia una preziosa occasione d’istruzione e un'opportunità di recupero delle conoscenze e della formazione professionale. A livello universitario in Italia si sono iscritti 926 (897 uomini, 29 donne) studenti nell'anno accademico 2019/20, sono stati coinvolti 30 Atenei, 177 Dipartimenti e 269 Corsi di Laurea. Nonostante l’aumento nell'ultimo decennio degli studenti iscritti nelle Università italiane, la percentuale in carcere, rispetto al totale della popolazione carceraria s’aggira intorno all'1%. Occorre notare che l'ondata pandemica ha richiesto nuove misure per garantire il diritto all'istruzione dei detenuti. Le leggi d’emergenza hanno di fatto garantito a tutti i detenuti, anche a quelli in regime di detenzione speciale, attraverso l’utilizzazione di Internet, non solo il diritto all'istruzione e all'informazione, ma anche all'affettività. Paradossalmente, però, l'apertura a soluzioni telematiche più ampie ha finito per accentuare il digital divide tra detenuti appartenenti a diversi istituti penitenziari, non essendo tutti dotati delle stesse attrezzature e connessioni.
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