Il degrado urbano investe non solo la città consolidata, specie dove la ricchezza del suo patrimonio storico, architettonico ed artistico costituisce il motore della sua vivacità sociale, economica e culturale, né tantomeno  i quartieri realizzati dalla mano pubblica ai margini estremi delle sue periferie, sui quali il dibattito urbanistico dell’ultimo quarantennio ha centralizzato le sue attenzioni, ma soprattutto le aree di promiscua separazione che intervalla i due assetti insediativi, dove la dismessa pratica dell’agricoltura ha ceduto il passo allo spontaneismo costruttivo collocantesi a metà strada tra l’abusivismo residenziale, “cosiddetto di necessità”, e la speculazione fondiaria ed edilizia che ha imperversato a decorrere dal secondo dopoguerra,  favorita dall’assenza di una opportuna pianificazione esecutiva. Di qui la nascita della cosiddetta “città di mezzo”, indeterminato spazio ospitante precarie urbanizzazioni, nata e sviluppatasi al di fuori di una logica e di un disegno programmatorio e pianificatorio, che non è stata interessata, se non marginalmente, dal recupero, dal risanamento e dalla riqualificazione (ambientale, sociale, economica e culturale) del patrimonio insediativo versante in condizioni di degrado. La “città di mezzo” nata dalla sconfitta del piano e del progetto, ha preso a svilupparsi da sé, con la medesima fragilità che ha contraddistinto la sua genesi.

Pubblicato: 2018-12-31

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