Intorno agli anni ’20 del XX secolo, Martin Heidegger va maturando una riflessione sull’«essere» che, avvalendosi del metodo fenomenologico, darà luogo ad una nuova ontologia. Essere e tempo, pubblicato nel 1927, si presenta anche come l’esito di un processo di gestazione che nei corsi e negli appunti delle lezioni, nei testi di conferenze e nel materiale inedito che lo precedono, può ancora trovare risorse e sollecitazioni per il riattraversamento di un pensiero la cui radicalità non ha smesso di interrogare storici e filosofi. In questi anni, peraltro, appare centrale l'intreccio con alcune questioni più marcatamente teologiche (si pensi alle interpretazioni paoline o allo studio dell'antropologia agostiniana) non solo rispetto ad una più generale comprensione dell’orizzonte speculativo dell’ermeneutica heideggeriana, ma anche rispetto alla domanda circa la storicità dell'esistenza e l'irruzione del tempo kairologico nella vita effettiva (come avviene nella prima comunità cristiana), con la conseguente ridefinizione del senso dell’essere non più come semplice presenza o ousia, ma come parousia: la questione del senso si carica di una peculiare tonalità drammatica in cui aleggia la tentazione di convertire l’“inquieta preoccupazione” che caratterizza ogni vita effettiva in una metafisica “acquietante”. La progressiva ontologizzazione del lessico heideggeriano che vira dalla nozione di «vita» a quella di «essere» dopo la chiamata a Marburgo nel 1923 o che produce una più spiccata attenzione alla questione della «differenza», pone rilevanti interrogativi non soltanto riguardo a continuità o discontinuità del pensiero heideggeriano, ma anche rispetto agli “effetti” che questo pensiero ha prodotto (e continua a produrre) nel dibattito filosofico del nostro tempo. Si tratterà allora, al di là delle comunque pertinenti analisi di filologia heideggeriana, di riconsiderare il progetto teorico di un pensiero che, nelle sue prime movenze, si è interessato ai dibattiti fenomenologici come a quelli teologici, nel tentativo di comporre fratture e conflitti come, ad esempio, quello del periodo friburghese tra l’elemento fattuale della vita e la categorializzazione del vissuto, ovvero il contrasto tra la “matrice oscura” della soggettività e l’aspetto semantico o ideale o intenzionale presente nell’esistenza effettiva. La pubblicazione ormai quasi integrale dell’intera opera di Martin Heidegger (in cui, è bene rammentarlo, lo stesso filosofo è tornato più volte retrospettivamente sulla genesi del suo percorso di pensiero), permette di ripensare criticamente una produzione teorica che, come mostrano proprio gli scritti che precedono Essere e tempo, aveva assunto la dimensione storica dell’individuo come orizzonte unico dell’esperienza possibile articolata nelle forme di una fenomenologia della vita e che, lentamente e a partire da più o meno esplicite «svolte», si incamminerà verso il tentativo di oltrepassare il lessico e i concetti della metafisica tradizionale.