RIPENSANDO L’EMPATIA. TRA ETICA ED ESTETICA
Il concetto di empatia nasce sul terreno dell’estetica grazie allo storico e filosofo dell’arte Robert Vischer che, nel 1873, utilizza per la prima volta il termine Einfühlung, riferendosi alla tendenza di un osservatore a proiettare i propri stati emotivi sull’oggetto osservato. Il primo a trasferire il concetto di “empatia” sul piano della relazione intersoggettiva fu Theodor Lipps, che sostituì al concetto di proiezione quello di “partecipazione emotiva” resa possibile da una sorta di “imitazione interna” (innere Nachahmung) dei movimenti dell’altro. Tra i primi a cogliere l’ambiguità del concetto di empatia fu Husserl, il quale, pur definendolo “un enigma oscuro e addirittura tormentoso”, gli dedicò grande attenzione, come si evince soprattutto dai manoscritti di lavoro. Successivamente, il concetto di empatia è stato ampiamente indagato in ambito fenomenologico – basti pensare a Moritz Geiger, Edith Stein o a Max Scheler – mantenendo sempre ferma l’esigenza di riconoscere nella relazione la radicale alterità dell’altro ed evitando i rischi connessi alla confusione dei vissuti, che può divenire indistinzione o addirittura “unipatia”. Ma la Einfühlung, divenuta concetto centrale per spiegare la paradossale relazione con l’alter, rischia comunque di rimanere sospesa tra i problemi connessi al contagio emotivo e quelli propri di un processo cognitivo e intellettuale, come quello richiesto dalle teorie dell’analogia. Si tratta, dunque, di un giro lungo che, passando per l’inferenza analogica, riduce l’impatto con l'alterità, risolvendosi in un affondo introspettivo, solo successivamente piegato all’esteriorità. Da qui si apre anche un ulteriore ambito problematico che riguarda la costellazione di concetti del vissuto empatico, lungo l’asse teorico che va dalle analisi protofenomenologiche del giovane Jaspers all’antropoanalisi esistenziale di Ludwig Binswanger. Nel corso del Novecento, il pensiero filosofico ha variamente ripreso e modulato la feconda intuizione di Lipps e il dibattito sull’empatia si è sviluppato fino a produrre un vero e proprio “empathic turn” che, anche grazie alla scoperta dei “neuroni specchio”, ha ampiamente influenzato la riflessione estetica contemporanea. Il concetto di “simulazione incarnata”, uno dei cardini di queste ricerche, radicalizzando l’intuizione di Lipps, si presenta infatti come una ulteriore critica dell’inferenza analogica, a favore di un coinvolgimento immediato. Oggi, il dibattito sull’empatia e sul rapporto tra empatia e esperienza estetica, da un lato e tra empatia e etica, dall’altro, è uno dei più accesi, anche in virtù del suo coinvolgere ambiti di riflessione diversi ma contigui, come, ad esempio: il rapporto identità-diversità, individuo-comunità, soggettivazione-alterità, nonché arte-emozione, realtà e finzione, creazione e fruizione estetica, espressività e tecnica. Per semplificare si possono individuare due linee teoriche. La prima, che potremmo definire “naturalistico-riduzionista”, ritiene che attraverso i meccanismi neurologici si possa spiegare la totalità dell’esperienza empatica che diventerebbe così il fondamento sia dell’esperienza estetica sia di quella etica; la seconda, invece, più squisitamente “filosofica”, pur riconoscendo l’importanza di un’indagine scientifica che ci consenta di comprendere il nostro rapporto immediato con l’oggetto (inteso anche come altro io), rivendica il ruolo della riflessione filosofica nella comprensione dei processi patici, cognitivi e riflessivi che ci consentono di entrare in relazione con l’altro.